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Serie A, De Siervo: “Si gioca troppo ma non è colpa nostra. Il format UEFA…”

De Siervo
Le parole dell'ad della Lega Serie A sul tema della pirateria, delle troppe partite dopo l'introduzione del nuovo format della UEFA e non solo
Edoardo Pettinelli Redattore 

In un'intervista concessa a Il Mattino, Luigi De Siervo, amministratore delegato della Lega Serie Aha parlato di diversi temi del calcio italiano. Dalla pirateria al numero eccessivo di partite con la riforma delle competizioni UEFA. Queste le sue parole.

C’era una volta il vecchio “pezzotto”.

«Si, ha un senso di nostalgico questa parola, forse perché legato alla creatività di una volta. Ma ora non è così, dietro ai pirati c’è la camorra, la ‘ndrangheta, c’è il far west informativo che regna fuori dall’Italia, ci sono almeno 300 milioni di euro che ogni anno finiscono nella tasche del crimine organizzato e non delle società di calcio».

Il governo si è mosso?

«E anche bene. C’è un filo di Arianna che collega l’hacker con il terminale del cliente: ora dobbiamo risalire all’utilizzatore finale e sanzionarlo. Le norme ci sono. Un vero tifoso non vede la partita piratata, perché poi fa un danno al suo club. Ma è questione culturale, non legata al prezzo degli abbonamenti».

C’è stato un calo di ascolti in queste prime tre giornate?

«No, perché si calcola solo l’audience di Dazn e mancano ancora i dati di Sky, che si è assicurata tre gare. Poi c’è il fenomeno di chi si abbona in ritardo, dopo essersi disabbonato prima dell’estate. Ma non siamo preoccupati».

Non è che si gioca troppo?

«Sì, il numero di gare è esagerato. Ma non è colpa nostra: le partite che organizziamo come Lega sono sempre le stesse. Da anni. Abbiamo in corso un battaglia legale con la Fifa per il Mondiale per club. Ma anche con la Uefa è in corso una discussione: in pochi anni il numero delle partite della nuova Champions e delle nazionali è cresciuto in maniera vertiginosa».

La nuova formula della Champions danneggia la Serie A?

«Certo e mi preoccupa perché è evidente che questo format toglie valore alle competizioni nazionali. Prima le gare delle coppe europee si svolgevano in autunno e poi in primavera, ora ci sono otto mesi di partite. Ininterrottamente. Sono, prodotti sostituibili, magari chi compra da un broadcaster non compra da un altro. E davvero rischiano tutti i campionati nazionali, non solo la nostra serie A».

I fondi stranieri sono sempre di più?

«I fondi internazionali sono attratti dal nostro calcio. Non siamo inferiori alla Spagna e all’Inghilterra. Stiamo curando un prodotto televisivo interno alla Lega, nel centro di produzione di Lissone e in questo siamo unici. Siamo stati i primi al mondo a usare la tecnologia al servizio degli arbitri. Abbiamo fascino anche perché la serie A di sicuro è a la più imprevedibile: hanno vinto 4 squadre diverse negli ultimi 5 anni e anche quest’anno il sogno è che si decida tutto all’ultima giornata». 

A che punto è l’Europeo del 2032?

«È un’occasione per il Paese unica. Sappiamo che gli ispettori dell’Uefa visiteranno a ottobre del 2026 gli stadi che sono stati indicati: in quei giorni non bastano i progetti o le promesse ma conta lo stato di avanzamento dei lavori. A Napoli so che nulla è ancora iniziato. Le istituzioni abbiano coscienza che in un contesto come quello Uefa ci vogliono garanzie concrete non su carta, ma sui cantieri. A Firenze sono partiti e questo ci rende contenti».

Chiudete prima il mercato la prossima estate?

«Lo avremmo fatto già quest’anno. Eravamo tutti d’accordo, avevamo convinto inglesi, francesi e tedeschi. Chi non ha voluto è stato Tebas: cercheremo di parlare di nuovo con lui, per riallinearlo».

Che si aspetta dall’assemblea della Figc del 4 novembre?

«L’emendamento Mulé dà indicazioni chiare, vuole che contiamo di più. Nella dialettica si troverà il numero percentuale del nostro peso elettivo».

Sulla pirateria neppure mezzo passo indietro. È evidente.

«Il calcio moderno si mantiene sulla forza di vendere le partite. Stiamo aggredendo anche i motori di ricerca che per certi versi sono complici. Ci sono, ripeto, 300 milioni di euro di mancati introiti, ovvero il 30 per cento del valore dei diritti tv. Il calcio così viene ucciso, perché non ci sono più i mecenati di una volta che perdono soldi, viene speso quello che entra in cassa: abbiamo il calcio che meritiamo e questo sistema parassitario che non paga per vedere le gare va fatto saltare. Sennò salta il calcio. O noi o loro».