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C’è soddisfazione più bella per un bambino che prendersi il nuovo giocattolo del compagno di banco? Nel campanilistico mondo del calcio italiano, appartenenza e rivalità non si misurano soltanto sul campo. Non c’è da stupirsi allora se la Roma, consumando una sorta di vendetta gelida del doloroso 26 maggio di Coppa Italia, ha scippato a Lotito il difensore Davide Astori, che il presidente della Lazio pensava ormai di avere in mano, esponendolo alla furia delle critiche dei suoi già sufficientemente critici tifosi. Uno sgarbo in piena regola, non l’ultimo — c’è già chi auspica una replica a tinte biancocelesti — nella storia di questi due club. Soprattutto, non certo il primo. Non serve una memoria di ferro per ricordare quando fu la Lazio a perpetrare una beffa irridente ai rivali cittadini: a marzo del ‘98 la Roma è pronta ad annunciare l’acquisto di Dejan Stankovic. O almeno ne è convinta, quando Sergio Cragnotti parte per Belgrado con un jet privato e in tasca un assegno da 24 miliardi: cena con il presidente dei serbi Cvetkovic e chiude l’acquisto del centrocampista. Gli sconfitti Sensi e Zeman prova- no a consolarsi con frasi a effetto («Non pago una mela 20 miliardi ») e l’acquisto di tale Ivan Tomic: non esattamente un affare. Bis laziale in estate, con il colpo Vieri, preso dall’Atletico Madrid, mentre i giallorossi alla disperata ricerca di un centravanti presentano al pubblico il folkloristico Gustavo Bartelt, una star solo nelle notti romane. Molto più politico, un paio di anni dopo, il “sorpasso” romanista per Batistuta: la Lazio ha un accordo con l’argentino, dopo lo scudetto biancoceleste però cambia qualcosa. Batigol alla Roma dopo una notte di riunioni e — si sussurra — dopo una cena in cui Sensi chiese a Cecchi Gori e Cragnotti di fargli prendere senza troppi problemi il bomber di Reconquista. «L’ho lasciato a Sensi», confidò il presidente laziale: errore pagato con il titolo dei giallorossi, “scucito” ai rivali nel 2001.
Il più antico e rumoroso caso di mercato tra le due è però il passaggio in giallorosso del laziale Selmosson. Il 10 luglio ‘58 il mitico Raggio di Luna diventava il centromediano della Roma, 135 milioni di lire per piegare le fragili resistenze del presidente della Lazio dell’epoca, il dottor Siliato. Costretto quasi alle dimissioni per il clamore dell’operazione, con disordini nelle strade invase da qualche laziale inferocito. Prima, in fondo, gli scambi erano fermi agli anni Trenta, con Fulvio Bernardini — da gioiello laziale a simbolo romanista — e Attilio Ferraris, in biancoceleste dopo una vita in giallorosso. La vendetta del “golpe” Selmosson si consuma allora solo 18 anni dopo, nell’estate del ‘76: Franco Cordova è capitano e simbolo della Roma. Quando però la società giallorossa gli comunica di averlo messo sul mercato, l’irrequieto “Ciccio” decide di vendicarsi. E per farlo, cosa c’è di meglio che firmare per i rivali di sempre? Tanti romanisti in lacrime, altri furiosi, un piccolo dramma cittadino. Perché perdere un derby di mercato può ferire più di una sconfitta sul campo. E la beffa Astori lo dimostra. (Repubblica)
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