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- Di Andrea Colacione
Tra le svariate migliaia di partite laziali del passato, ce ne sta una che occupa decisamente un posto speciale nei miei ricordi e nel mio cuore.
Vi sto parlando della fantastica Lazio-Lanerossi Vicenza (quanto era bello e romantico quando il Vicenza si chiamava ancora Lanerossi) disputata allo Stadio Olimpico il 29 ottobre del 1978. Una partita pazza, irripetibile, oserei dire quasi olandese, negli anni in cui l’Olanda e l’Ajax di Johann Cruijff erano una sorta di Iliade ed Odissea calcistica, seminando adepti in tutto il mondo. Quella partita è ancora oggi custodita gelosamente nel mio cuore e pagherei oro per poter avere il dvd e le maglie delle due squadre, magari di Bruno Giordano (uno dei miei più grandi idoli calcistici di sempre e per sempre) e di Paolo Rossi che ancora non era diventato “Pablito” oppure “O carrasco do Brasil” (Il castigatore del Brasile). Quella partita è nel mio cuore per diversi motivi e rappresenta il cuore di come intendo io il calcio e lo spettacolo. E poi mi riporta piacevolmente indietro nel tempo, agli anni della mia infanzia. Anni in cui ancora si giocava a pallone tutto il pomeriggio fino a quando calava il buio,per strada o nei garage,si aveva un culto quasi feticistico per le Figurine Panini che accompagnavano le nostre mattinate a scuola e le domeniche al termine della Sacra Messa.
E poi quelli erano gli anni di Fonzie e quindi di Happy Days, della Febbre del Sabato Sera e quindi della bellissima e biondissima Olivia Newton John e dei Camperos che ci facevano sentire “fichi” con le ragazzine. E poi erano gli anni dei cantautori incazzati e dei poeti, sia a destra che a sinistra, come Lucio Battisti, Antonello Venditti, Francesco De Gregori e del mio maestro di vita e di cultura,Fabrizio De André che continuo ad ascoltare ancora oggi con sommo trasporto e con somma nostalgia. E poi ancora Lassie, Tarzan, Furia, Sandokan, Mazinga e Jeeg Robot; Studio Uno con gente come Mina e Walter Chiari, con le gemelle Kessler; “Canzonissima” negli anni in cui esisteva solo la Rai che però faceva televisione di altissimo livello. E poi come dimenticare le fantastiche e geniali sorelle Daniela e Loretta Goggi che sapevano fare semplicemente tutto e tutto sin troppo bene? E tante altre belle cose e brutte cose come il Referendum sul divorzio e gli anni di piombo che per ragioni di tempo e di spazio non cito. Anni di dure lotte, di battaglie perse nel nome dei nostri fantastici ideali e di conquiste. Chi in Dio, chi a destra e chi a sinistra, ma tutti credevamo in qualcosa e soprattutto non ci vergognavamo di amare e di sognare.
Ciascuno di noi aveva una sua personalissima Isola di Wight. Tutto figlio di un mondo e di una tv in bianco e nero, tutto più riservato ma più umano e molto meno invadente di quei colori sin troppo vistosi che oggi quasi ci accecano ed accecano i nostri sentimenti. Ma che cosa ne sanno i giovani di oggi di quanto erano più belli il mondo e l’Italia in quegl’anni e quanto era più bello anche il “pallone” con tutti quei sentimenti e quell’umanità che oggi sono stati spazzati da un nuovo mondo che consuma e brucia tutto sin troppo rapidamente solo e soltanto nel nome del dio danaro. Ecco quel Lazio-Lanerossi Vicenza, simbolo di gioia al calcio e di spensieratezza, rappresenta un po’ la sintesi di tutto ciò o perlomeno la rappresenta per chi vi sta scrivendo. Giordano con una tripletta e Paolo Rossi con una doppietta la griffarono con le firme più illustri ma anche i vari Guidetti, Cerilli e Faloppa da una parte e Wilson, Manfredonia, Cordova, Agostinelli, D’Amico e Garlaschelli dall’altra si ritagliarono un loro ruolo con i bravissimi portieri Ernesto Galli e Massimo Cacciatori, costretti più volte a raccogliere il pallone in fondo alle rispettive reti. E poi come non ricordarsi di due dei personaggi che più ho amato in tutta la mia vita calcistica?
BobLovati, tutto attaccato e tutto di un fiato; un simbolo saggio e silenzioso che ha attraversato il mondo Lazio con tutti i ruoli e le sfumature possibili ed immaginabili e Giovan Battista Fabbri, il più totale degli allenatori italiani insieme a Tommaso Maestrelli e a Viciani che con la sua Ternana trapiantò in Italia il calcio all’olandese, così come fece appunto l’artefice del primo scudetto laziale.
Tutta gente che purtroppo ci ha lasciato ma tutta gente che avrà sempre un posto speciale nel cuore di chi ha fatto in tempo a viverli, ad amarli e a condividerli. Loro erano le menti pensanti e Giordano e Paolo Rossi che poi vissero parabole simili con il calcio scommesse, i geni del gol, il punto esclamativo dei loro sublimi progetti. L’uno (Bruno Giordano) era il più bravo di tutti, l’altro (Paolo Rossi) era altrettanto bravo ma molto meno bravo del ragazzino trasteverino ma ebbe molta più fortuna e fece in tempo a riprendersi il destino e a salire sul gradino più alto del mondo, vincendo mondiale e titolo di capocannoniere a Espana ’82, esplodendo quando tutto sembrava perduto e quando il solo Enzo Bearzot sembrava disposto a credere e a scommettere su di lui. Giordano fece in tempo a vincere uno scudetto a Napoli con Careca e Maradona ed ebbe l’onore di ricevere dallo stesso Re Dieguito il complimento più bello e cioè sentirsi dire dal più grande di tutti che è stato il compagno più forte con cui ha giocato in tutta la carriera.
Lazio-Lanerossi fu la madre incubatrice di tutte queste emozionanti vicende e quel pomeriggio rischiò di far saltare le coronarie di molti spettatori dello Stadio Olimpico, sicuramente non abituati ad una simile orgia calcistica. Lazio-Lanerossi rappresentò l’altra faccia del calcio, quella più allegra e spensierata, nettamente in contrasto con il grigiore del tatticismo esasperato che impone la logica del risultato a tutti i costi attraverso il prima non prenderle. Quel Lanerossi mimetizzava difensori, centrocampisti ed attaccanti che giocavano tutti o quasi a tutto campo con Paolo Rossi pronto a terminare il lavoro con la sua scattante rapidità, una buona tecnica ed il suo opportunismo. La Lazio tutto ciò lo aveva fatto ampiamente prima negli anni d’oro di Tommaso Maestrelli, il maestro di calcio e di vita che aveva saputo insegnare tutto ai propri calciatori, senza alcun bisogno di alzare mai la voce, nonostante la folle chiassosità ed i numerosi eccessi dei propri ragazzi.
E quella Lazio che affrontò il Lanerossi in una delle più belle partite della storia del calcio italiano aveva ancora con sé i leggendari “scudettati” Martini, Wilson, Garlaschelli e D’Amico, più appunto Giordano che debuttò, segnando, a Marassi contro la Sampdoria, lanciato proprio dal buon papà Tommaso che nel frattempo stava perdendo il figlio prediletto Chinaglia, diretto ai Cosmos negli Stati Uniti e la vita dopo una lunga ed estenuante malattia. Lazio-Lanerossi fu un’altalena di dirompenti emozioni, da vivere tutte di un fiato e senza respirare, un po’ come noi bambini e poi ragazzi di allora vivevamo le nostre emozionanti vite. Fuori c’erano i pericoli; l’eroina (autentico mostro degli anni settanta) e gli scontri di piazza tra fascisti e comunisti che contrassegnavano i sabato pomeriggi del centro romano ma noi anche grazie alla protezione dei nostri genitori eravamo fuori da tutto ciò e respiravamo soltanto gioia, spensieratezza ed emozioni a raffica. Come quel calcio di rigore di Bruno Giordano che a tre a minuti dalla fine sentenziò il 4-3 finale e ci lasciò sempre più innamorati della vita e del fantastico gioco del calcio, oltre che della Lazio. Parafrasando Lucio Battisti, laziale doc: “Tu chiamale se vuoi, EMOZIONI!”.
Cittaceleste.it
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