ROMA - Sul caso tamponi, la strada della Lazio si mette sempre più in salita. Rischia d’essere compromessa pure la principale arma segreta. Non è stata l’assenza del dottor Rodia (in trasferta con la squadra in Germania) o di Lotito, impegnato nell’Assemblea di Lega, a spingere davvero l’avvocato Gentile martedì a chiedere al Tribunale Federale il rinvio della prima udienza. La verità è che rischia di complicarsi la testimonianza dell’uomo chiave Enrico Di Rosa, il dirigente dell’Asl Roma 1 che avrebbe dato l’ok a Immobile per effettuare il tampone dopo pochi giorni di quarantena e senza che ne fosse stata comunicata via mail (dopo i test Synlab pre-Bruges) la positività. Ebbene Di Rosa è finito sotto la lente della sua autorità sanitaria perché avrebbe fatto di testa sua, senza nessuna autorizzazione della stessa, dando anche la propria disponibilità alla Lazio per la sua testimonianza in sede sportiva, tra l’altro già resa scritta al pm Chiné nella memoria difensiva. L’Asl Roma 1 si è irritata e lo avrebbe già "minacciato" di ridimensionare la sua carica. Ecco spiegato perché oggi, in una intervita alla Gazzetta dello Sport, ha ritrattato tutto Di Rosa. Lui è amico del dottor Pulcini e aveva fatto tutto informalmente, anche perché appartenente a un'Asl (Roma 1 e non Roma 4) non competente per quanto riguarda la Lazio ad autorizzare nulla. Sapeva già tutto, la Procura Federale, per questo riteneva comunque inammissibile la sua testimonianza e martedì non si era opposta a rinviare alle 11 del 26 marzo la nuova udienza. La Lazio adesso ha 8 giorni di tempo per sperare che tutto si risolva, si dice certa di poter mantenere ancora la testimonianza di Di Rosa nella sua memoria difensiva, ma rischia di diventare un autogol anche questa storia. Non era già detto che il presidente del Tribunale Mastrocola avrebbe accettato venerdì prossimo l’ammissione dei testi, ma non averci Di Rosa più nemmeno a disposizione sarebbe terribile per la difesa. Anche il Torino aspetta per avere un ulteriore elemento ed essere ammesso al processo come terza parte interessata (la Procura si oppone) per la gara d’andata. Per quella di ritorno c’è già un’altra battaglia.
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ESCLUSIVA Tamponi, ecco perché il teste chiave Di Rosa ritratta la testimonianza
L'Asl Roma uno sarebbe irritata col suo dirigente, che ora è pronto a ritrattare la sua testimonianza dopo aver ricevuto un richiamo e la "minaccia" di ridimensionamento. La Lazio però lo mantiene inserito nella lista dei testimoni
RICORSO
Dopo la decisione del Giudice Sportivo e l’uscita biancoceleste di mercoledì dalla Champions, ieri la Lega avrebbe dovuto fissare al 7 aprile Lazio-Torino come nuova data. Non lo ha fatto e non lo farà per ovvie ragioni d’opportunità, con un giudizio che rischia d’essere pendente oltre la fine del campionato su questa partita. Mercoledì poco dopo le 18.30 l’avvocato Gentile ha presentato il ricorso contro la decisione di non concedere il 3 a 0 a tavolino da parte di Mastrandrea. Nel reclamo alla Corte Sportiva la Lazio scrive che il Giudice Sportivo avrebbe potuto affidarsi all’istituto della “disapplicazione” degli atti amministrativi dell’Asl di Torino se non conformi alla legge. Tradotto: si continua a insistere sull’abuso d’atti d’ufficio per l’incongruenza della prima quarantena fornita nelle date. Per il club capitolino è insomma illegittimo il successivo documento di proroga di 24 ore che ha fatto saltare il match.
SECONDO GRADO
Con questa strategia sarebbe più semplice aver ragione davanti al Tar competente e presentarsi dopo in ambito sportivo con una sentenza quasi vincolante. Purtroppo però i tempi tecnici non consentono questo espediente. Dunque avanti col secondo grado, la Corte Sportiva d'Appello Nazionale, con Piero Sandulli presidente. La prima udienza potrebbe essere fissata per la prossima settimana, ma diventa un’impresa vincere dopo quanto successo al Collegio del Coni con Juve-Napoli. Che pure, secondo la stessa Asl di Torino, si sarebbe dovuta giocare. Paradossale.
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