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Zaccheroni: “Vi racconto il mio Lazio-Inter. E il 5 maggio 2002…”

Zaccheroni
Le parole dell’ex allenatore su due delle squadre allenate in carriera in vista della partita in programma lunedì sera allo stadio Olimpico
Edoardo Benedetti Redattore 

Lunga intervista concessa a SportWeek da Alberto Zaccheroni, ex allenatore tra le altre di Lazio e Inter. Queste le sue parole in vista del match di lunedì sera tra biancocelesti e nerazzurri.

Qual è stata la sua maggior soddisfazione calcistica?

Mah, difficile scegliere. Ne ho, per fortuna, avute molte. Grandi, belle, intense”.

Ma ci sarà una squadra che ha sentito più sua?

Penso a quelle che ho potuto costruire dall’inizio. Tre anni all’Udinese, il terzo posto, la qualificazione in Coppa Uefa. E i tre anni al Milan, lo scudetto del centenario. Poi le promozioni con Riccione, Baracca Lugo e Venezia. Ho allenato l’Inter, la Juve, la Lazio, ho vinto con il Giappone. Sono stato in Cina e negli Emirati Arabi. Ma mi piace ricordare l’anno del Cosenza in B. Ci penalizzarono di 9 punti per irregolarità di bilancio, ma non subito, avremmo saputo come regolarci. A gennaio ce li tolsero. E ci salvammo ugualmente. Mi sono sentito fiero di quella squadra. Ma anche delle altre. Era bello lavorare con quei ragazzi”.

Ne ha avuti molti. Grandi campioni: Bierhoff a Udine, Shevchenko al Milan, Mihajlovic alla Lazio, Adriano all’Inter, Del Piero alla Juve. Chi ricorda con più affetto?

Affetto per tutti, rispetto anche. Per me sono sempre stati fondamentali i rapporti umani. Ho sempre pensato che, se non sai catturare l’uomo prima ancora dell’atleta, è inutile. Forse questa è una chiave del mio lavoro e dei successi ai massimi livelli”.

Ma qualcuno dentro il cuore le sarà rimasto. O no?

Se proprio mi costringe, un nome lo faccio: Dejan Stankovic. Per me era come un figlio, un ragazzo generosissimo. Quando sono arrivato alla Lazio non giocava e mi ha detto: ‘Io sono qui, se ha bisogno di un portiere faccio anche quello’. L ’ho liberato dai vincoli tattici, doveva sprigionare la sua energia e la sua qualità. Per lui ho fatto uno strappo, una cosa unica nella mia carriera”.

L’ha portato all’Inter.

Sì. Non avevo mai imposto acquisti a un mio presidente. Neanche al Milan: Bierhoff ed Helveg non me li sono portati dietro. Erano già stati scelti. Massimo Moratti però all’Inter mi ha chiesto un nome qualsiasi a mia scelta: ho fatto quello di Stankovic. Per il resto della mia carriera ho sempre costruito in base a quello che avevo”.

Adesso c’è Lazio-Inter. Cosa sono state per lei?

Due stagioni della mia vita. Alla Lazio sono subentrato a Dino Zoff dopo tre pareggi, due in casa, uno fuori. All’Inter ho sostituito Hector Cuper dopo sei giornate. Non è facile salire in corsa, le squadre vanno programmate in primavera e nei ritiri estivi vedi e capisci le vere potenzialità dei giocatori. Si muovono liberi dalla paura del risultato, del posto da titolare, del voto sul giornale. Nelle partite amichevoli sono spensierati, puoi anche proporre qualche cambio di ruolo in base alle caratteristiche”.

Torniamo alla famosa Lazio-Inter del 5 maggio 2002. Lei era sulla panchina biancazzurra. Cosa è successo?

Partita pazzesca. Ultima giornata, l’Inter è in testa, 69 punti, la Juve seconda, 68, gioca a Udine. Noi battiamo l’Inter 4-2, la Juve vince 2-0 e diventa campione. Pensi: protagoniste quattro delle mie squadre”.

In campo c’era Simone Inzaghi che, come lei, ha allenato Lazio e Inter. Com’era il Simone centravanti?

Un ragazzo d’oro. Disponibile, educato, gentile, un professionista. Quella volta ha fatto il gol del 4-2. Poi è diventato un bravissimo allenatore”.