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ROME, ITALY - MAY 26: AS Roma head coach Aurelio Andreazzoli and Francesco Totti react after losing the Tim cup final against SS Lazio at Stadio Olimpico on May 26, 2013 in Rome, Italy. (Photo by Paolo Bruno/Getty Images)
Alla fine, i sassolini dalla scarpa li ha tolti. Con stile, eleganza, quasi sottovoce. Confessandosi con il settimanale della Gazzetta Sportweek. Aurelio Andreazzoli torna sull’episodio principale che ha caratterizzato la sua carriera. E indica i colpevoli. La data è quella del 26 maggio 2013. La partita è la finale di Coppa Italia che va in scena all’Olimpico. Minuto 71. Cross di Candreva dalla destra, uscita maldestra di Lobont, difesa della Roma spiazzata. La porta del Paradiso è spalancata, Senad Lulic entra nella storia. La Lazio vince il derby più importante della storia confermando di essere la prima squadra della Capitale. Per genesi, storia, blasone e trofei.
"La mia conferma come allenatore della Roma sarebbe scattata in automatico se la squadra non avesse perso la finale di coppa Italia proprio contro la Lazio, per giunta all’Olimpico - sottolinea Andreazzoli - un mese dopo arriva Garcia, la squadra viene presentata allo stadio, entrando in campo sotto la Sud. In ordine alfabetico. Doppia A iniziale, nel nome e nel cognome, non si scappa. Quando sono entrato, i tifosi un po’ di casino lo hanno fatto: di certo non mi hanno applaudito. Ero quello che aveva perso il derby di Coppa Italia. Ma dire che l’avevo persa io, significherebbe dire che l’allenatore è più importante dei giocatori, e non è così. In quella squadra c’erano Totti, De Rossi Balzaretti: la finale la persero loro".
"Con Garcia tornai al mio vecchio ruolo di allenatore in caso di bisogno. A un certo punto mi stancai di non allenare e dissi: basta, torno a casa e smetto. Poi arriva la chiamata dell’Empoli: questi che vogliono? Sarebbe stato brutto dire Non mi interessa a chi, al contrario l’interesse nei tuoi confronti lo dimostra. Così studio la squadra, ci incontriamo, espongo le mie idee. A quel punto nasce l’Empoli del 4-3-1-2 che ora è un marchio tattico della squadra. Non avevo mai adottato quel sistema, ma mi sembrava ideale per i giocatori che avevo a mia disposizione".
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