Una carriera divisa tra Stella Rossa, Lazio e Inter, prima di appendere gli scarpini al chiodo e diventare allenatore. Ripartendo proprio dalla squadra di casa, la Stella Rossa, prima di tornare nella casa adottiva, in Italia, e tentare l’impresa sulla panchina della Sampdoria. Il nome di Dejan Stankovic non è mai un nome banale per i tifosi biancocelesti. E proprio l’ex biancoceleste è stato intervistato oggi sulle pagine del Corriere dello Sport. Di seguito un estratto, con tanti riferimenti a Mihajlovic e alla sua avventura con la maglia della Lazio.
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Stankovic: “La Lazio mi ha dato l’opportunità più importante. Sinisa…”
Sentita nei giorni scorsi: Stankovic mi ricorda Mihajlovic.
“Chi l’ha detto? Angelo Palombo?”.
Per la verità è stato Luca Pellegrini. Ma se lo pensa anche Palombo non si tratta più di un’impressione isolata. Eppure io vi trovo diversi…
“Sinisa non può essere imitato, uno così non è replicabile”.
Così come?
“Così autentico. Compagno, amico, era il mio riferimento in qualsiasi situazione. Ostinato anche. Quando si metteva in testa una cosa, giusta o sbagliata che fosse, tirava dritto. Sinisa era diretto, positivo. E, dopo un errore, aveva una straordinaria capacità di recupero. Verso gli altri e anche verso se stesso. Mi manca, manca nel mio mondo, era la vita, anche se non posso paragonare il mio dolore a quello di Arianna e dei bambini”.
Bambini che sono cresciuti.
“Ma sono figli, lo resteranno per sempre. Sono loro che avvertono in ogni istante il peso di un’assenza terribile… Sinisa mi ha fatto crescere più velocemente, mi ha spiegato la vita, dato un indirizzo. Avevo diciannove anni quando sono arrivato in Italia, alla Lazio. I diciannove di allora non sono quelli di oggi. Gli ho sempre camminato di fianco. Nazionale, Lazio, Inter. I primi diciannove senza di lui, i venticinque successivi con lui. Gli chiedevo consigli su tutto, anche sulla vita privata. Era molto protettivo e in meno di un secondo arrivava dritto al punto”.
Era anche un inguaribile brontolone.
“Si lamentava, s’incazzava, andava allo scontro con compagni, allenatore, presidente, ma poi sapeva come farsi perdonare, sempre. Dopo una caduta si rialzava immediatamente e ripartiva... Per me era papà”.
Un padre di soli nove anni più vecchio.
“Te l’ho detto, mi ha preso che avevo diciannove anni, non sapevo nulla della vita. Se oggi sono questo, un uomo risolto, lo devo a lui”.
Deki, in fondo ti senti più laziale o interista?
“La Lazio mi ha dato la prima grande opportunità, la più importante, e sarò sempre riconoscente a Cragnotti. Con l’Inter abbiamo cambiato la storia del club. Due tappe di una vita”.
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