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Luis Alberto e Zaccagni
C’è questo malinteso diffuso, nel calcio di oggi. E cioè che bellezza faccia rima con perfezione tattica, con palleggio pulito, con armonia in campo e con zero sbavature. Ma è un malinteso, appunto. L’ossessione del bel gioco ha offuscato la mente calcistica e ci ha convinto del fatto che ci sia una sola via di bellezza. Ma la bellezza si può scrutare ovunque, anche nelle cose più impensabili, pure nell’ “Odore delle case dei vecchi” come diceva Jeb Gambardella – interpretato da Tony Servillo – ne La Grande Bellezza. E bellezza, più o meno alla stessa stregua, è vincere una partita sporca e cattiva come quella di ieri.
È stata una sfida emozionante con tratti di pura palpitazione. Viene in mente il pathos eroico di Guendouzi che prende a muso duro un avversario; il claudicante portamento di palla di Luis Alberto che è dovuto rimanere in campo seppure malconcio; le spazzate più lontano possibile della difesa chiamata a disinnescare gli attacchi del Feyenoord. E poi ci sono state bellezze più evidenti, come la rete di Ciro Immobile tanto bella quanto significativa: 200 volte Lazio. Come lui, nessuno mai. Il triplice fischio è stato un rintocco di liberazione: la Lazio ha vinto, che emozione.
Lo ha detto il mister facendo coming out, non ci stiamo inventando niente: “Abbiamo accettato di lasciare loro il possesso di palla”. La Lazio ha tenuto la sfera per il 35% del tempo ed è una notizia. Il Sarri ball si è arreso a quella che – proprio il mister – ha definito “una macchina da gol”. Una macchina impattata sul muro biancoceleste fatto di difensori che non si sono risparmiati e portieri biondi. Sarri ci ha abituato poco a partite del genere: o le domina o – accettando la fallibilità di un sistema di gioco – le subisce. Stavolta l’ha combattuta e con le unghie e con i denti, sono arrivati i 3 punti. Perché ci sono partite e partite e non sempre si può giocare bene. E se quello di ieri è “giocare male” allora pazienza, se è utile a provare certe emozioni.
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