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Siviglia: “Mi rivedo in Gila. La mia Lazio la base per quella attuale, con Baroni…”

Siviglia
Le parole dell'ex difensore biancoceleste che ha raccontato aneddoti sui suoi anni nella Capitale e poi si è soffermato sull'attuale squadra
Stefania Palminteri Redattore 

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Lunga intervista concessa da Sebastiano Siviglia ai microfoni di chiamarsibomber.com. L’ex calciatore della Lazio ha ripercorso i suoi anni in biancoceleste raccontando aneddoti e soffermandosi poi anche sull’attuale squadra di Baroni e su un giocatore in cui si rivede. Queste le sue parole. “L’esperienza alla Lazio? Fantastica, per me è stato il modo migliore di chiudere una carriera lunga fatta di oltre 500 partite: è stato un bel passaggio della mia vita, sei anni durante i quali abbiamo conquistato due trofei e raggiunto la qualificazione in Champions. Era una Lazio che stava rinascendo con il presidente Lotito, in seguito a un momento difficile in cui era stata vicina al fallimento, e noi avevamo il compito di ricostruire quelle basi solide su cui si basa la Lazio di oggi.

Tra me e il presidente Lotito c'è sempre stato un ottimo rapporto, basato su affetto e stima reciproca. Oltretutto, degli 11 giocatori arrivati nel 2004, io e Rocchi siamo stati i giocatori rimasti più a lungo. Gli sono molto riconoscente e lo ringrazio per aver puntato su di me. Ero ritornato al Parma dopo il prestito al Lecce ed ero in cerca di una nuova soluzione. Quando è arrivata la chiamata della Lazio ho accettato con grande entusiasmo, per me non è stata una scelta difficile. Al tempo stesso, credo che anche il presidente abbia riconosciuto il mio lavoro, che è stato lungo e duraturo.

Lotito ha fatto qualcosa di importante e credo che, dal punto di vista gestionale, sia una figura di spessore. È molto attento ai particolari e ha sempre sostenuto le proprie cause fino in fondo, dimostrando le sue capacità nella gestione del club. Senza fare troppi proclami ha ricostruito la Lazio partendo da zero, dando al club una solidità importante. Se è scaramantico? Non ricordo grandi scaramanzie, ma so che è molto cattolico: una cosa che faceva di consueto era andare in Chiesa prima di ogni partita. Difficile dire il più forte tra Zarate, Pandev e Rocchi. Zarate e Pandev avevano un talento cristallino, mentre Rocchi aveva una grande capacità nell'attaccare la profondità ed era un grande lavoratore.

L'impatto di Mauro è stato forte: quando è arrivato ha fatto vedere subito le sue qualità e, probabilmente, è quello che salta maggiormente all'occhio per come si è imposto nell'immediato nonostante la giovane età. Ad ogni modo tutti e tre hanno contribuito, ognuno con le sue caratteristiche, alla crescita della Lazio. Probabilmente Mauro avrebbe potuto fare qualcosa in più: aveva un talento enorme e qualità straordinarie. Quando si è giovani è fondamentale la gestione e, magari, gli è mancata un po' di continuità. Credo che dal punto di vista tecnico meritasse ampiamente la Nazionale, ma quando la chiamata non arriva è il caso di farsi anche delle domande. Probabilmente, al netto di qualità indiscutibili, c'era qualche tassello mancante.

La Supercoppa italiana? Quell’Inter era una squadra stratosferica, una delle più forti in Europa. Noi abbiamo fatto del nostro meglio mettendo in campo un grandissimo spirito, con la consapevolezza di avere di fronte un avversario difficile da affrontare. Abbiamo cercato di limitarli e sono convinto che, alla fine, è stata una vittoria di gruppo. Era un appuntamento importante in cui tutta la squadra, chi ha giocato e chi no, era coinvolta per raggiungere un grande obiettivo. Aver vinto quel trofeo è un motivo di orgoglio ed è stata una grandissima soddisfazione. Alla Lazio sono particolarmente legato alla luce dei sei anni con la maglia biancoceleste, scanditi dalla conquista di due trofei, durante i quali sono stato davvero bene. A Roma si respira la rivalità, che poi si percepisce particolarmente nel derby, una partita che coinvolge tutta la città: una giornata in cui tutti si trasformano e indossano l'abito da stadio.

Un allenatore che ricordo in particolare? Mi piace ricordare Gigi Cagni ai tempi del Verona, che ha creduto in me dandomi fiducia. Arrivavo dalla Nocerina, in C1, e dopo tre partite mi ha messo in campo contro la Fiorentina di Batistuta, con Baroni e Vanoli al mio fianco. Un'altra figura importante nella mia carriera è stata sicuramente Delio Rossi, con cui avevo già lavorato a Lecce giocando da terzino destro. Quando arrivò alla Lazio nella stagione 2005-06, inizialmente era un po' scettico rispetto al mio ruolo di difensore centrale, per poi convincersi gradualmente e darmi fiducia in quella posizione.

La Lazio di oggi? Baroni è un tecnico molto preparato, sta facendo un grandissimo lavoro valorizzando tanti giocatori: inizialmente c'era un po' di scetticismo rispetto a questa scelta, ma, al di là di come finirà la stagione, credo sia stata una scelta azzeccata da parte della società. Probabilmente è un allenatore sottovalutato, sebbene avesse conquistato due salvezze importanti con Verona e Lecce che valgono come degli scudetti. Ha portato la squadra ai quarti di finale di Coppa Italia, è ancora in corsa in Europa League e sta lottando per la Champions in campionato. Sicuramente è una stagione molto dispendiosa che, inevitabilmente, implica anche qualche passo falso, ma credo che la Lazio possa ambire alle posizioni alte della classifica.

Guardando spesso la Lazio mi rivedo un po' in Mario Gila, giocatore rapido, esplosivo e bravo in copertura. Oggi il ruolo è cambiato: quando giocavo io al difensore si chiedeva di marcare l'uomo e, in tal senso, l'ultimo difensore di quel tipo credo sia stato Chiellini. Oggi al difensore viene chiesto di svolgere un compito diverso: deve avere la capacità di impostare, leggere le situazioni di gioco e spingersi in avanti per dare manforte alla manovra offensiva”.

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