Antonio Rozzi, ex attaccante della Lazio, ha raccontato la parabola della sua carriera, in un'intervista alla Gazzetta dello Sport. L'esordio in Lazio-Milan nel 2012 (2-0), lo scudetto Primavera vinto da capitano e la chiamata del Real Madrid. Poi un periodo difficile, dopo un lungo giro di prestiti decide di ritirarsi momentaneamente, andando vicino Medjugorje. Ora è il numero 10 e compagno di Diakitè, altro ex, nella squadra universitaria della LUISS, allenata da Roberto Rambaudi. Ecco le sue parole.
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Le parole dell’ex Rozzi “Mi vedevo come il nove della Lazio, poi…”
Antonio, cos’ha visto da quella collina?
“La rinascita. Dieci anni fa ho iniziato un percorso di fede che non ho mai mollato. Nel 2021 ho scelto di fermarmi dopo varie batoste e sono andato a Mostar, in Bosnia. In questo periodo ho fatto volontariato, ho aiutato ragazzi tossicodipendenti e avuto a che fare con i reduci di guerra. Ho visto un mondo diverso, più vero. Avevo bisogno di ritrovarmi. Ma dopo una messa ho scelto di tornare”.
Come mai dopo una messa?
“Mostar è una città di silenzi e cicatrici. Il ponte è stato ricostruito, ma per strada si trovano ancora i resti dei combattimenti. Mi ritrovai in mezzo ai giocatori di una delle due squadre della città, dove avevo fatto un provino. Fisicamente, però, non c’ero. ’Prima di giocare andiamo in chiesa’, mi dissero. Lì capii che dovevo tornare”.
Ma al professionismo ha rinunciato?
“Mai. Il mio obiettivo è rimettermi in piedi e tornare a giocare almeno in Serie C. Fin qui ho segnato un gol in 12 partite con la Luiss, una squadra con un progetto serio e voglia di far bene. Uno dei miei compagni è Modibo Diakitè, conosciuto alla Lazio”.
Già, la Lazio: la guarda ancora?
“Ho ricominciato da poco. Per un po’ mi ha fatto male. Non ho mai avuto nulla contro nessuno, ma i pensieri corrono”.
Estrapoliamone uno: febbraio 2012, Lazio-Milan 2-0.
“Debuttai a 17 anni e 8 mesi, si può dire che a quei tempi ero come Camarda oggi. Scaloni suggerì a Reja di far entrare ‘il bambino', così sostituii Rocchi contro il Milan di Nesta, Thiago Silva e Ibrahimovic. Battemmo i rossoneri dopo non so quanti anni. In panchina c’era anche Diakitè, che ogni tanto mi ricorda che Reja stava per far entrare lui. I tifosi fischiarono Candreva e applaudirono me."
Incredibile, se ci pensa.
“Un’altra vita, sì. Il giorno prima ero a scuola, ma nel giro di tre ore mi ritrovai catapultato in Serie A. La curva mi regalò lo stesso coro che faceva a Di Canio: ‘Butta giù la porta’. Quando tornai a casa piansi: avevo realizzato il sogno di una vita”.
Il Paradiso, no?
“Sì, senza dubbio. Giocai altre sette partite in una stagione e mezza e firmai anche un contratto di tre anni: nel 2013 vinsi il campionato Primavera e scelsi la numero 9. Sarei dovuto essere la quarta punta dietro Klose, Kozak e Floccari, ma bussò il Real”.
Sia sincero: si può rifiutare?
“Non si può. Avevo 19 anni, la Lazio era la mia vita, ma si immagini un ragazzo di Torraccia, con una famiglia semplice, vedere l’offerta della squadra più forte del mondo. E con un progetto serio”.
Del tipo?
“Prestito con diritto di riscatto tra i 15 e i 19 milioni. Sarei stato la punta della squadra B, dove l’anno prima era esploso Morata”.
Un fallimento, purtroppo: 10 presenze senza gol.
“Decisi in un giorno. All’inizio ero titolare, ma a causa del cambio in panchina e di un infortunio uscii dai radar. A gennaio ebbi offerte dall’Italia, ma rimasi. Il nuovo allenatore mi convocò solo all’ultima giornata: avevo lavorato come un matto”.
Cosa ricorda di quei giorni a Valdebebas?
“Con Ronaldo parlavamo di vita e pallone. Ci incontravamo in sauna o nel bagno turco. E c’erano tutti: Marcelo, Ronaldo, Bale, Xabi Alonso e Sergio Ramos, che una volta mi parlò della sua famiglia per un’ora”.
Si è pentito di aver scelto il Real?
“Mah, so solo che Madrid scoprii la fede”.
Dopo Madrid, il buio: come mai?
"Avevo bisogno di continuità e non l'ho mai avuta. E poi sono stato sfortunato: Entella, Bari, Lanciano, Siena, Lupa Roma, dovunque andassi c'era qualche problema”.
La gioia più bella di quegli anni?
“Il gol all’Irlanda del Nord in Under 21, novembre 2013. Avevo 19 anni, ero il più giovane. Accanto a me c’era Belotti”.
Nel 2021 è diventato campione d’Europa. Ci pensa?
“La vita va così. Il ‘Gallo’ lavorava, lavorava, lavorava… un faticatore incredibile. Si è meritato tutto ciò che ha avuto”.
Lei ha avuto sfortuna, però.
“Indubbiamente. Nel 2018 tornai addirittura a giocare in Primavera con la Lazio. Non trovavo squadra. Dopo quell’annata con il Real ho passato la carriera a rincorrere, ma la fede mi ha aiutato”.
Quante volte ha visto Belotti, la Lazio, i suoi compagni, e ha pensato “cavolo: avrei potuto giocare insieme a loro?”.
“Tante. Infatti per un periodo non ho guardato nulla. Mi vedevo come il numero 9 della Lazio, non lo nascondo. Era il mio sogno”.
Le aspettative l’hanno schiacciata?
“Non so. Di sicuro è stata anche colpa mia, ma è anche vero che sono stato sfortunato. Oggi, comunque, non ho rimpianti”.
La maglia più bella che conserva nell’armadio?
“Quella di Romagnoli. La scambiai alla fine di un derby in prima squadra dove eravamo rimasti in panchina. Tutti sapevano fosse della Lazio, ma a quei tempi non poteva dirlo. Sono felice sia tornato”.
E a Camarda, il baby fenomeno del Milan, cosa direbbe?
“Di non farsi condizionare e ascoltare il cuore: ogni cosa ha il suo tempo”.
Il suo non è ancora finito?
“Assolutamente no. Posso ancora ripartire”.
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