È stato intervistato da Il Cuoio, inserto del Corriere dello Sport, Roberto Rambaudi. L’ex calciatore della Lazio sarà un doppio ex nel match che stasera i biancocelesti giocheranno contro l’Atalanta e per Rambaudi sarà quasi un derby del cuore: “La Lazio e l'Atalanta sono due delle squadre alle quali sono più legato e quelle che oggi mi diverto a guardare in tv. A Bergamo sono cresciuto tanto. Due anni importanti in un ambiente caldo ma che ti permette di lavorare alla grande. Ripensando a quelle due stagioni faccio fatica a pensare che il secondo anno siamo retrocessi. Per il valore della squadra e per il calcio che riuscivamo ad esprimere. Considera che qualche giorno fa sono andato a ricontrollare l'almanacco, perché mentalmente è come se avessi cancellato quel risultato”.
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Rambaudi: “La mia Lazio? Nomi importanti ma rosa cortissima. Ma le vittorie…”
Arrivò a Bergamo dopo gli anni meravigliosi al Foggia...
“Erano appena arrivati i Percassi e il club si stava ristrutturando. Ho avuto la fortuna di giocare insieme a gente come Alemao, Sauzée, in uno stadio molto caldo. E di essere allenato da tecnici preparati come Marcello Lippi e Guidolin. Il primo anno a Bergamo feci 6 gol”.
L'estate del 1994 arriva alla Lazio...
“Io in realtà dovevo andare alla Roma. Trapattoni aveva firmato con i giallorossi e mi chiese di seguirlo. Poi, quando tutto sembrava fatto, i dirigenti della Roma cambiarono idea e virarono su Mazzone. Alla Lazio poi andò Zeman, e tutto cambiò”.
Quanto è stato importante ritrovare il suo vecchio tecnico?
“All'inizio sono stato favorito dalla conoscenza dei suoi schemi, ma Zeman era molto più severo ed esigente con quelli che considerava i suoi uomini di fiducia. A me non ha mai regalato niente. Anzi, una volta, durante un Lazio-Vicenza mi chiese di giocare perché era rimasto senza attaccanti, nonostante avessi 39 di febbre. Io mi sacrificai, ma in campo non toccai palla. E lui mi sostituì a quattro minuti dall'intervallo, facendomi fischiare da tutto l’Olimpico. Gliel'ho rinfacciata tante volte”.
In quegli anni però, le soddisfazioni non mancarono...
“lo credo che il miglior calcio di Zeman si sia visto in quella Lazio: non è mai riuscito a replicarlo, gliel'ho detto tante volte e lui ha annuito. Lui era sempre molto esigente, rimarcava sempre le cose che si potevano migliorare, ma quando ci faceva vedere le cassette con i nostri movimenti in campo e le partite che giocavamo, era davvero bello vedere certi meccanismi che funzionavano quasi alla perfezione”.
Quella Lazio raggiunse un secondo, un terzo e un quarto posto. Poteva fare di più?
“C'erano nomi importanti: Marchegiani, Favalli, Negro, Signori, Fuser, Winter, Casiraghi, Boksic, ma la rosa era cortissima. Tolti i titolari c'erano poche alternative. Giocavamo sempre con gli stessi interpreti e quando avevi un calo, lo pagavi. Ricordo una trasferta a Napoli, di domenica sera e poi la gara di Dortmund il martedì successivo: a sole 48 ore di distanza. E giocammo praticamente con gli stessi calciatori. Una roba impensabile oggi”.
Lei ha segnato diversi gol, ma ha soprattutto collezionato tanti assist...
“Ho sempre pensato che un assist equivalesse ad un gol. E da tecnico ne sono sempre più convinto: segnare è bello e gratificante, ma mettere un compagno nelle condizioni di fare gol lo è allo stesso modo”.
Quanti gol ha fatto segnare a Beppe Signori?
“Una marea, e lui lo sa (ride, ndr). Abbiamo giocato sei anni insieme tra Foggia e Lazio e ci conoscevamo benissimo. Lui sapeva che quando io rientravo verso il centro del campo, doveva fare un determinato movimento: poi diciamo anche che a lui bastava calciare con gli occhi chiusi per andare in gol”.
E paradossale che la Lazio ha iniziato a vincere proprio quando Beppe Signori lasciò la Capitale?
“Noi abbiamo partecipato alla costruzione della Lazio che nel giro degli anni successivi è diventata grande. La nostra squadra è cresciuta tanto, anno dopo anno, ma non era competitiva per vincere. Grazie ai campioni che Cragnotti portò nella Capitale, la squadra ha fatto quel passo in avanti decisivo”.
Rispetto a Beppe, che lasciò la Lazio a novembre del 1997, lei è riuscito a vincere una Coppa Italia e una Supercoppa italiana.
“Una grandissima emozione, al pari della convocazione in Nazionale. Ci fu un momento che l'Italia venne definita la Lazionale visti i tanti calciatori biancocelesti che ne facevano parte”.
La partita più bella giocata con la Lazio?
“Ce ne sono tante che ricordo con affetto: forse, su tutte, quella con la Juventus che finì 4-0 e nella quale feci un gol e due assist. Ma ricordo anche i derby, un Lazio-Inter che vincemmo 4-1. Ce ne sono tante”.
E la partita che vorrebbe rigiocare?
“Non ho dubbi: Tenerife-Lazio. Vincemmo 1-0 all'andata e poi al ritorno eravamo avanti 1-0 con un gran gol di Nedved. Poi segnarono anche Fuser e Casiraghi: il capitano loro si avvicinò a me e mi disse: "siamo muerti’ Ma non era vero: li abbiamo fatti rinascere noi, con una serie incredibile di errori”.
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