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Marco Di Vaio
Cittaceleste ha contattato durante Quelli della Libertà, in onda su Cittaceleste TV - canale 85 del digitale terrestre - e Radiosei, Marco Di Vaio, direttore sportivo del Bologna ed ex calciatore biancoceleste. “Sono cresciuto alla Lazio, ora parte della mia carriera poi la sto vivendo qui a Bologna anche dal punto di vista dirigenziale. Nella Lazio ho fatto gli inizi, da bambino sono cresciuto con questi colori e questa passione”.
Cosa pensi del mercato e del potere economico della Premier League?
“Noi cerchiamo di costruire giocatori che possano negli anni andare in Inghilterra. Gli unici soldi veri che ci sono al momento sono lì. L’obiettivo quindi è svilupparli e farli rendere qui ma anche far sì che possano avere un appeal per l’unico mercato che paga veramente”.
Come si può spiegare che un direttore sportivo di un club importante come il Chelsea spenda 110 milioni per un giovanissimo e non offra nulla per giocatori come Milinkovic?
“Lì si va a seconda del piacere delle singole persone. A ognuno piacciono determinati tipi di giocatori e determinate caratteristiche. Dipende anche dalla filosofia del club, ci sono vari aspetti da considerare, non si può scegliere soltanto in base a ciò che un calciatore fa in una squadra. Bisogna trovarsi nella situazione del mercato, capire tutti gli aspetti da considerare. Poi è chiaro che determinate spese sono importanti e il rendimento è decisivo: se funziona l’affare è giusto, altrimenti no”.
Quanto è stato difficile gestire a Bologna una situazione emotivamente drammatica come quella che ha coinvolto Mihajlovic?
“Non lo auguro a nessun dirigente. Quest’estate penso sia stata, fino all’esonero del mister, complicatissimi dal punto di vista umano. È stato molto complicato e difficile, ci ha tolto il sonno. E umanamente è stata devastante, con tanti alti e bassi. Poi purtroppo l’epilogo ci ha dato un dolore troppo grande”.
Hai visto Lazio-Milan? Quanto hai goduto?
“Sono contento soprattutto per mio papà che viene allo stadio e si diverte. La Lazio sta facendo molto bene. Mi è piaciuto molto, la settimana scorsa in Coppa Italia, vedere la mano dell’allenatore. Non ci hanno permesso di giocare, hanno linee guida precise con e senza palla. Ho visto una squadra concentrata e unita. Quando poi ci sono giocatori importanti come quelli che ha la Lazio se li trovi in giornata sono dolori”.
Che ricordi hai del periodo alla Lazio?
“Bellissimi. Per quello che mi riguarda è stato un periodo troppo corto. Sognavo di diventare calciatore professionista e di fare una carriera nella Lazio. Purtroppo ho avuto troppa smania di andare a giocare, questa necessità me la sono portata sempre. Ho cambiato tante squadre: avevo voglia di giocare e confrontarmi. In quel momento esser fuori e avere davanti gente importante non capivo quanto fosse importante. Per questo sono andato fuori, pur pensando poi sempre di tornare anche se purtroppo non l’ho mai fatto”.
Ti ricordi la doppietta alla Lazio con il Bologna?
“Sì, ricordo benissimo. Ma io sono molto sentimentale. Ho fatto gol in tutti gli stadi contro tutte le squadra, tranne che all’Olimpico alla Lazio. Non ci sono mai riuscito. Era proprio l’emozione di giocare lì”.
Avete in qualche modo protetto Mihajlovic?
“Noi abbiamo pensato a trattare Sinisa da allenatore, come lui voleva. Noi vedevamo la squadra che faceva fatica a recepire i suoi messaggi, ci dava la sensazione di non avere più lo stesso impatto sui giocatori. È stata una decisione tecnica. Se avessimo dovuto pensare alla sua situazione non avremmo dovuto mandarlo via. Ma era giusto venisse trattato da allenatore come ha sempre chiesto. Se non lo avessimo fatto non avremmo avuto rispetto dell’uomo”.
Hai sentito la sua famiglia?
“L’altro giorno ho rivisto la sua famiglia all’Olimpico, è stata una serata molto bella ed emozionante. Devo dire che è una grande famiglia, unita e costruita con tanta forza e amore. Sono molto uniti, mi rendo conto non sia facile ora subire la mancanza di una persona così forte e presente”.
Come mai alla Lazio e in generale ovunque si fa così tanta fatica a produrre giocatori per la prima squadra?
“È una domanda che ci facciamo spesso. Noi stiamo investendo di più nel settore giovanile, ma facciamo comunque fatica a portare giocatori pronti. Penso che in Italia manchi uno step intermedio. Secondo me manca un discorso legato alle seconde squadre, penso possa essere una riforma da fare. Spesso qui i giocatori si perdono. La riforma va pensata, bisogna capire come proteggere i giocatori del settore giovanile nelle rose della prima squadra. Serve uno step intermedio tra Primavera e prima squadra. La cosa più importante per lo sviluppo dei giocatori sono le partite, se non li fai giocare si perdono. Hanno bisogno di andare in campo, provare e sbagliare per poi dimostrare di poter andare avanti”.
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