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Peruzzi: “Non escludo il ritorno alla Lazio. Baroni? Ho giocato con lui e…”

Peruzzi
Le parole dell’ex calciatore e dirigente biancoceleste che si racconta tra passato, presente e futuro: “Sullo scudetto mancato nel 2020…”
Edoardo Pettinelli Redattore 

Presente in studio durante Lazialità in TVAngelo Peruzzi. L’ex calciatore e dirigente biancoceleste ha parlato a tutto tondo della Lazio tra presente, passato e futuro. Queste le sue parole, a partire da Baroni: “Abbiamo giocato insieme per un anno alla Roma, quando avevo 18 anni. Non servono scienziati per il calcio, le persone fanno vincere. Ci vogliono i valori, oggi c’è molto cinema. Se sai fare calcio pian piano vieni fuori. La Lazio ora sta facendo bene perché c’è voglia, se hai giocatori forti ma poi non si sentono coinvolti e non pensano al gruppo poi non riesci a fare bene coralmente. Il calciatore è egoista per antonomasia, ma deve avere passione e se ti diverti le cose vengono da sole. Oggi i calciatori sono come aziende. Prima le società comandavano, ora è il contrario. Vanno gestiti bene, non basta più il metodo bastone e carota. Non conta più avere il contratto quinquennale, se il giocatore vuole andare via, andrà via.

La costruzione dal basso non mi convince. Non mi è mai piaciuta, ero scarso con i piedi (ride, ndr). Racconto un aneddoto. Ero allenatore di portieri per la nazionale quando c’era Sacchi, voleva un vademecum per il portiere, per insegnargli a giocare con i piedi. Gli dissi che lo avrei fatto, ma anche che il portiere deve saper parare, se è bravo con i piedi tanto meglio. Provedel giocatore di movimento? Ai tempi Liedholm mi costringeva a rimanere fuori dall’area quando attaccavamo, bisognava tenere una certa distanza dall’ultimo difensore in modo da poter intervenire. Essere fuori dall’area per interagire con gli altri giocatori era importante già all’epoca ed era l’86’. In pochi però son forti con i piedi, oggi c’è Ederson del Manchester City, ai miei tempi lo era Van Der Sar.

Tornare alla Lazio? Perché no, ci mancherebbe. I quattro anni passati alla Lazio da dirigente mi sono piaciuti tantissimo, poi ci son state incomprensioni. Altrove? Lo prenderei in considerazione, ma ci penserei un po’ di più. Tutti credevamo nello scudetto nel 2020. Facemmo undici risultati utili consecutivi. È stato un dramma dopo perché quando si è ricominciato a giocare si sono infortunati 4 o 5 giocatori. Milinkovic, Immobile e Luis Alberto? Avrebbero potuto giocare quando giocavo io. Grandi giocatori. Milinkovic la partita la sente anche se non sembrava. Ciro non la sente, di più. Luis bravissimo ragazzo, ma devi saperlo prendere.

Il gol di Provedel in Champions non l’avrei mai fatto, anche se me lo avessero chiesto. È stato un grande. L’impatto delle società ti rimane, soprattutto se stai lì per tanti anni. Essere apprezzato da tutti vuol dire tanto. Essere applaudito a Torino contro la Juventus mentre giocavo con la Lazio per me è stato come vincere una coppa. Il mio arrivo alla Lazio? Dopo Lazio-Inter 2-2 nel 2000 mi chiama Roberto Mancini, mi chiede di andare nel loro spogliatoio. C’erano Eriksson e Nello Governato. Mi chiesero se volessi venire alla Lazio. Mi dissero di litigare con Moratti per venire alla Lazio (ride, ndr). C’era Marchegiani che era un grande, quindi ho finito per fare panchina. I primi mesi non feci benissimo, prendevo tanti gol. Cosa successe nel 2001? Potevamo vincere ancora, ma non sempre ti riesce tutto. Qualche scricchiolio c’era stato quando girava la voce della firma di Eriksson con l’Inghilterra. Qualcosa si era rotto.

Mihajlovic? Gli piaceva fare il megalomane. Aveva oggetti costosi nel beauty per fare la doccia, prendeva gli oggetti a memoria e volevo fargli uno scherzo. Trovo una vipera morta, la prendo e gliela metto nel beauty. Sente nel beauty, la prende e mi guarda. Mi voleva ammazzare (ride, ndr). Una persona eccezionale Sinisa. Liverani? Se la prendevano tutti con lui. Racconto questo aneddoto. Veniva con la Smart, lui era arrivato che tutti lo odiavano. Scendeva e diceva ‘pure oggi ho fatto il tagadà’ perché lo spingevano con la Smart. Il derby di Di Canio l’ha vinto la Lazio con la determinazione. Quando sei con l’acqua alla gola tiri fuori qualcosa dal cilindro.

Luis Alberto è un giocatore particolare, devi farlo sentire importante. A Tare non gli stava tanto a genio, Inzaghi lo voleva sempre in campo. Anche se veniva sostituito negli ultimi minuti il giorno dopo veniva da me a lamentarsi dicendo ‘Vado al Siviglia’, anche se aveva giocato 88 minuti. Con Inzaghi un rapporto bellissimo, sia da calciatore che da allenatore. Non mi aspettavo diventasse allenatore, non ce lo vedevo ai tempi del 2000. Se c'era uno in quella squadra che non pensavo potesse farlo era lui. Immobile non mi aspettavo fosse così travolgente, ci sono stati periodi in cui sapevi che poteva segnare in ogni gara. Fortissimo. Ho avuto Eriksson sia con la Roma che con la Lazio. Era un signore, una persona di una dignità incredibile. Voleva rispetto e lo dava, arrivava a darti anche del lei.

Gli avversari peggiori? Marco Simone e Enrico Chiesa. Ovunque erano, tiravano e mi facevano gol. Nel 2001 eravamo fortissimi e ci eravamo rinforzati. Simeone, Nedved, Veron, Sensini, Lopez, Crespo e non solo. Quando arrivò Zoff non ci furono stravolgimenti, calmò l’ambiente e ci rimettemmo in carreggiata. Il rimpianto è il mondiale della Francia. Mi sono strappato il polpaccio, è logico che qualche rimpianto ce l’hai, ma è così".

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