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Patric: “Vi racconto la mia storia. La Lazio? E’ la mia squadra del cuore”

Stefania Palminteri Redattore 
Tutte le dichiarazioni del difensore spagnolo, diventato ormai un vero e proprio punto fermo della Lazio nelle ultime stagioni giocate

La Lazio Patric, un binomio ormai indissolubile che va avanti da quasi un decennio. Dopo un difficile periodo d'adattamento, lo spagnolo è diventato, con il passare del tempo, una vera e propria colonna di questa squadra. Dagli inizi della carriera fino alle 200 presenze biancocelesti, il difensore si è raccontato ai microfoni del canale ufficiale della società con una lunga intervista.

"Se qualche anno fa mi avessero detto che avrei raggiunto le 200 presenze con questa maglia, oltre che questo status, ci avrei comunque creduto. Quand'ero arrivato ero un bambino, sia nel calcio che nella vita. Sono una persona sensibile: quando si parla di giocatori a volte si pensa solo al campo, ma bisogna ricordare che siamo persone. Giocare a calcio comprende tanti aspetti. Io ho sempre lavorato e combattuto, andavo a duemila sempre. Sono riuscito a maturare in tanti aspetti e sono felice di essere arrivato a questo punto. 

La partita perfetta? Non c'è n'è una. Io vivo tutto al massimo. Per l'importanza, ovviamente, giocare la Champions ha un sapore speciale. Vincere contro il Bayern all'Olimpico è incredibile, ha un posto speciale nel mio cuore. Quando sono arrivato conoscevo la Lazio perché è una società storica, in più credevo che in Italia avrei imparato tanto prima del mio arrivo. Ovviamente, non immaginavo di poter rimanere per così tanti anni. Il mio unico pensiero era solamente giocare a calcio, la mentalità italiana piano piano mi è entrata dentro e mi ha aiutato ad arrivare dove sono adesso. 

Come ho detto prima, anche il cambiamento nell'aspetto fa parte della crescita. Ho trovato un equilibrio fuori dal campo e questo mi ha aiutato nella mia carriera. Solamente io credevo di arrivare a certi livelli, per diversi mesi ho lavorato nell'ombra senza che nessuno lo sapesse. La mia prima esperienza lontana da casa è stata al Villareal per me e la mia famiglia è stato un grande cambiamento. Mio padre non è un grande amante del calcio, così come mia madre. A dodici anni arrivò questa chiamata, devo ringraziarli perché mi hanno ascoltato e mi hanno permesso di andare lì. La nostra famiglia è molto legata. Abbiamo un gruppo whatsapp tutti insieme, quando riusciamo la domenica stiamo a pranzo insieme. 

Patricio era mio nonno, ma mi sembrava un nome troppo d'adulto. A scuola hanno iniziato a chiamarmi Patric, e allora questo è sempre rimasto fino a metterlo dietro alla mia maglia. Il numero 4? Mi è sempre piaciuto, anche per i miei idoli Sergio Ramos e Dani Alves. Non sono uno che guarda sempre e comunque il calcio, a volte cerco di differenziare ciò che vedo. Se c'è una partita bella sicuramente la guardo, ma ogni tanto è giusto anche staccare la spina. A me piace sempre superarmi, giocare contro i giocatori forti e difficili da marcare. E' il bello del calcio, quello di affrontare i migliori. 

E' vero che non sono tanto alto, ho altre caratteristiche. Infatti, non nasco come difensore centrale. Prediligo portare palla al piede e difendere in altri modi, piuttosto che usare la fisicità. Io dico sempre che le cose accadono per una ragione, non mi piace lamentarmi di ciò che poteva essere e non è stato. Io sono felice e orgoglioso del mio percorso. Ora ho trovato la mia posizione in campo, quando ero più piccolo mi ha aiutato fare il terzino perché mi ha dato la possibilità di giocare con le giovanili del Barcellona. Poi ho fatto il quinto con Inzaghi, un ruolo che non si adattava alle mie caratteristiche, ma ero piccolo e non avevo la forza di dire che non mi piaceva. 

Messi e il Barcellona? Prima del debutto sapevo che potevo scendere in campo, perché Dani Alves era infortunato e non c'erano terzini. Era già qualche volta che venivo convocato, poi ho avuto l'opportunità di entrare e giocare con quei fenomeni. Con me Messi si è sempre comportato benissimo, così come Mascherano. Il mio agente è molto legato a loro, quindi questo mi ha aiutato anche agli inizi. Credo che Mbappe, Halaand e Bellingham siano il futuro. 

L'attaccante più difficile da marcare? Più che attaccanti, per me è difficile marcare gli esterni. I Coman, Sanè... Quando li trovi in giornata, è veramente difficile stargli dietro. Io personalmente soffro di più l'attaccante che ti punta continuamente in campo, piuttosto che la punta fisica che ti riempie di spallate. Guardiola? Ho vissuto tutto in prima persona. Il mio primo giorno allo stadio è stato l'esordio di Pedro con il Barcellona, ho visto tutto il suo "prime". Noi con il Barcellona B abitavamo praticamente dentro lo stadio, quindi avevo la possibilità di vedere sempre questi fenomeni. 

La pazzia più grande che un tifoso ha fatto per me? I ragazzi che lavorano per Glovo (ride). Ritornano spesso sotto casa. Del passato della Lazio mi sarebbe piaciuto giocare con Simeone, mi piacciono quel tipo di giocatori che trasmettono questa carica particolare. E' uno che va sempre a duemila, anche come allenatore. 

La Lazio è incredibileAnche nei momenti difficili, sentivo qualcosa di particolare per questa squadra. Quest'ambiente è come una famiglia, poi in certi momenti ti emozioni da solo, vuol dire che c'è qualcosa di veramente speciale. E' la mia squadra del cuore, tutta la gente che viene qui si rende conto di quanto sia bello giocare qui. I tifosi sono incredibili: i nostri valori per la maglia li abbiamo da sempre. Per me il bello nella vita è essere da esempio. Mi piace che i bambini o i genitori possano raccontare la mia storia alle generazioni future, questo è il mio desiderio più grande. 

Un calciatore che poteva fare di più qui è Ravel MorrisonIl calcio, però, non è solo avere talento. Dipende chi ti gira intorno anche, non è colpa sempre del giocatore e basta. Avere i giusti consigli, una mente rilassata può aiutare tantissimo. In allenamento aveva delle qualità superiori, negli spazi stretti faceva delle cose incredibili. La testa fa sempre la differenza. Invece, appena ho visto Sergej ho capito che sarebbe stato un fenomeno. Fisicamente e tecnicamente era superiore, aveva una qualità diversa dal resto. 

Ora fuori dal campo per me è un bel momento. Ognuno di noi ha una sua storia, soprattutto non bisogna giudicare dall'esterno. Mi sono meritato dove sono ora, sono sereno e tranquillo con me stesso. Non bisogna mai abbassare la testa, la vita non è sempre uguale e a volte ti mette alla prova. Adesso sono una persona matura, riesco a gestire le emozioni sia positive che negative. La depressione? A volte si pensa troppo agli altri e poco a se stessi. In un periodo non ero in grado di giocare, ma non volevo deludere nessuno. C'erano tanti infortunati, non potevo tirarmi indietro. Anche questo, però, mi ha aiutato tanto. Soffrire in quel momento, in quel modo, mi ha permesso di crescere e diventare come sono adesso.

In quel momento qualcuno sapeva della mia situazione, ma non troppo. A volte mi venivano anche attacchi di panico in aereo durante i viaggi, ma non volevo condividere troppo. Ho sbagliato a non chiedere aiuto prima, ma è una cosa che ho realizzato dopo. Io non avevo voglia di fare niente in quel periodo, anche solamente alzarmi dal letto era difficile. Anche il Covid mi ha buttato giù, ero da solo e non sapevo gestire la situazione. Vedere i telegiornali, vedere la gente stare male era veramente difficile per me.

La stagione del Covid? Ce la saremmo giocata fino alla fine. Contro il Bologna avevo quella sensazione lì, l'ultima partita prima della chiusura degli stadi. Anche quello ha influito nella mia situazione mentale, era il mio momento migliore, così come della squadra, e poi siamo rimasti chiusi per mesi. La partita contro il Cagliari, con gol di Caicedo, è sicuramente la partita più pazza della mia carriera. 

A me piace molto la musica, se non avessi fatto il calciatore probabilmente avrei scelto quella strada. Non penso però a essere cantate un giorno, per me è solo un hobby. Roma? E' una città incredibile, ti entra nel cuore. Quando le strade sono quasi vuote, di sera, mi piace fare una passeggiata con la mia ragazza. Camminare per questa città è speciale. La parola in romano che sento di più è "Ao" (ride). Il cibo italiano è incredibile, mi piace mangiare. Il piatto preferito non ce l'ho, perché mi piace davvero di tutto. Anche la verdura più semplice è diversa dal resto del mondo. 

A fine carriera non so dove vivrò, ho deciso di comprare casa qui perché sto bene a Roma. Manca ancora qualche anno, ho ancora tempo per prendere questa decisione. Comunque, sicuramente starò sempre dove staranno i miei genitori. Vacanza ideale? Sempre mare. L'insegnamento più grande che posso dare? Bisogna sempre ascoltare il proprio cuore e la propria anima. Non ascoltare gli altri, ma pensare prima a se stessi. E' bello sentire i tifosi essere orgogliosi di me quando li incontro in città".


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