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Massimo Maestrelli: “Domenica vissute emozioni uniche. A fine gara Kamada…”

Edoardo Benedetti Redattore 
Intervenuto ai microfoni del Corriere dello Sport Massimo Maestrelli, figlio di Tommaso, ha parlato delle emozioni vissute questa domenica

Intervenuto ai microfoni del Corriere dello Sport il figlio del grande Tommaso Maestrelli, Massimo, ha ripercorso le emozioni vissute questa domenica nella celebrazione del cinquantennale del primo storico scudetto della Lazio.

Massimo Maestrelli, chiuda gli occhi e ripensi a domenica.

"Con la mostra 'Meravigliosa' eravamo entrati in clima partita da 2 mesi, all'Olimpico è andato tutto oltre le aspettative. Siamo entrati negli spogliatoi, non c'era ancora tanta gente. 'Meno male', ho pensato. Ero teso. Siamo entrati in campo 20 minuti dopo, ogni settore pieno. Mi è venuta la tremarella".

La prima cosa pensata?

"Mi sono voltato, cercavo mio fratello Maurizio. Pensavo di vederlo da un momento all'altro. Da piccoli entravamo sempre insieme".

Che sensazioni ha provato?

"Ho preferito sedermi in panchina 3 minuti, tanto ero emozionato. Ma prima di lasciare la zona degli spogliatoi ho spronato tutti come fossi Chinaglia: portare la sua maglia è stata una doppia responsabilità. Ho interpretato Giorgio: 'Nannino, passamela', 'Garla non tirare!', 'Mister, perché gioca Re Cecconi?', 'Felice, non rimanere tra i pali'. Unteatrino".

Si è inginocchiato alla lettura della formazione.

"Il cuore batteva forte, le gambe stavano cedendo. E poi volevo gustarmi bene la scena della Curva, vedere i giocatori da una visuale più bassa".

C'è una squadra paragonabile?

"La Lazio del 74 era l'antitesi del calcio, tutto quello che non si deve fare. In parte, dico 11 Leicester 2016. Un italiano che vince la Premier da underdog. Ranieri, tra l'altro, veniva a vedere a casa nostra le partite del Mondiali '70. Giocava nella Roma, era un amico di papà. Me la prendevo con lui: "Perché qua un romanista?", chiedevo. Replicava: "Non guardare i colori, ma la persona. Claudio è un ragazzo eccezionale". Quando lo incontro ne parliamo ancora".

Come si raccoglie un'eredità simile?

"'La Lazio è la donna della mia vita', diceva il babbo. Puoi trovarne una più bella, non è la stessa cosa. Si ha già tutto ciò che si cerca. La Lazio bisogna averla nel sangue. Chi non vuole restare, può andare via. È successo con Milinkovic, per esempio».

Un ultimo aneddoto?

"Volevo una maglia della partita, l'ho chiesta a Kamada, cosa poteva importare a un giapponese? Invece mi ha risposto: "Questa no, è una maglia importante". Non pensavo ci tenesse così. Sono andato da Immobile, me ne ha promessa una, ma io ne volevo una usata, di quelle sudate e simboliche. Ho provato con Rovella, doveva darla a suo padre. Me ne sono andato, sono stato richiamato da Andrea, il figlio di Maurizio: 'Rovella darà al papà quella pulita, vuole incontrarti e dartela di persona'. Lo ringrazio per il gesto".


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