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Ledesma in gol nel derby
Intervenuto ai taccuini de Il Cuoio, inserto del Corriere dello Sport, l'ex centrocampista e capitano biancoceleste Cristian Ledesma si è raccontato in un'intervista, ripercorrendo la sua esperienza nella Capitale e le differenze tra la sua e la nuova Lazio. Ledesma, tra l'altro, ricorda la doppia sfida contro il Ludogorets di dieci anni fa e spera che Baroni e la sua squadra possano almeno in parte vendicare quanto accaduto. Queste le sue parole: “La doppia sfida con il Ludogorets in Europa League nel 2014 la ricordo ancora. E rappresenta un grande rammarico. Spero tanto che la Lazio di oggi sia in grado di vendicare la nostra eliminazione. Fu una gara strana: all'andata perdemmo all'Olimpico con un rigore fallito da Felipe Anderson, poi nella sfida di ritorno ricordo che Reja schierò contemporaneamente me e Biglia, chiedendo a lui di fare la mezzala. Stavamo anche vincendo, poi ci fu un errore di Marchetti che complicò tutto”.
La Lazio di oggi sembra puntare decisamente all'Europa, la vostra invece non riuscì a ottenere i risultati che tutti speravano nelle competizioni internazionali.
“Diciamo che in quegli anni giocare in Europa era una cosa in più: non eravamo strutturati per poter fare sia il campionato che l'Europa League. Solo l'anno con Petkovic siamo arrivati a un passo dalle semifinali. Se avessimo passato il turno con il Fenerbahce ci saremmo giocati la semifinale con il Benfica”.
Ha giocato con la Lazio dal 2006 al 2015, una sorta di testimone oculare di una squadra che stava crescendo.
“Io scherzando dico sempre che noi siamo stati nella Lazio povera (ride, n.d.r.), quella nella quale c'era il famoso tetto ingaggi di Lotito. E questa cosa l'ha confermata anche il presidente quando abbiamo festeggiato i dieci anni della Coppa Italia del 2013, dicendoci che i giocatori di adesso hanno tante cose che noi non avevamo. Ma abbiamo gettato le basi per una crescita che negli anni è stata evidente. Siamo riusciti a portare la Lazio ai livelli che meritava. E lo abbiamo fatto passo dopo passo”.
Partiamo dall'inizio: l'arrivo a Roma nell'estate nel 2006.
“Per me fu un grande cambiamento: venivo da Lecce, dove avevo sempre giocato in una squadra che lottava per non retrocedere, in un ambiente piccolo e decisamente diverso. Mi ritrovo in un club che ha altri obiettivi, in una città grandissima, dove ci sono radio che parlano dodici ore al giorno di Lazio. In più l'inizio fu difficile: i risultati non arrivavano, e io ero stato chiamato a sostituire un punto di riferimento come Liverani”.
Il giorno del derby, con il suo gol, è cambiato tutto?
“Per la gente sì, ma è normale: fu una rete bella, importante, arrivata dopo un periodo difficile in cui tutta la squadra non girava. La Lazio era cambiata tanto e tutti stavamo cercando di entrare negli schemi di Delio Rossi. Da quella gara in poi molte cose sono cambiate e alla fine quella squadra riuscì a fare una stagione straordinaria, arrivando in Champions League”.
Quanto è stato importante avere al suo fianco un tecnico come Delio Rossi, che la conosceva molto bene avendola allenata a Lecce?
“Tanto, ma allo stesso tempo è stata anche una grande responsabilità: perché sapevo quanto puntasse su di me e io mi sono sentito in dovere di ripagare la sua fiducia in campo”.
Riavvolgendo il nastro di quella prima stagione, siete partiti con l'handicap della penalizzazione post Calciopoli, e siete arrivati in Champions. Come è stato possibile?
“È stato fondamentale il ritiro: siamo andati in Austria in un posto dove intorno al campo e all'hotel non c'era niente. Si è forgiato un gran bel gruppo: lottavamo contro tutti. Soprattutto con le notizie che arrivavano da Roma: una volta si parlava di retrocessione, un'altra di meno quindici, poi meno sei. Noi ci siamo stratti intorno al mister e abbiamo costruito un gran gruppo. Che giocava anche un bel calcio secondo me”.
Cosa ha rappresentato per lei, giocare la Champions League?
“Il giorno di Lazio-Real Madrid, quando ho sentito quella musichetta in mezzo al campo, la prima cosa che mi è venuta in mente è stata la mia famiglia, accompagnata dal pensiero di aver raggiunto il sogno di ogni bambino. Ho pensato a mia madre e a mio padre che non riuscivano a comprarmi gli scarpini o i parastinchi per farni giocare a calcio, o quando giocavo con scarpe più piccole, nelle quali mettevo un giornale bagnato di alcol per cercare di allungarle. Tutti sforzi fatti per permettermi di cullare questo sogno”.
Nei tanti anni passati a Roma c'è stata anche la pagina in cui è rimasto sei mesi fuori squadra. Come ne è uscito?
“Fu un'esperienza molto dura, i primi tempi è l'orgoglio a farti andare avanti. Pensi che hai ragione e che sei nel giusto, ma poi dopo un po' di tempo, quando la domenica stai sul divano e vedi i tuoi compagni che scendono in campo e tu stai fermo, impotente, è tosta. In quel momento però è successa una cosa che non dimenticherò mai”.
Quale?
“Uscivo di casa, incontravo la gente laziale e capivo che mi apprezzava, che stava con me. Non apprezzava il calciatore, visto che da mesi ormai non lo ero più ma l'uomo. Ricevere l'affetto della gente è stato importantissimo. Lì ho capito com'era il tifoso laziale: ed è in quei giorni che mi sono innamorato della Lazio, della sua storia, dei suoi tifosi. Nel momento più brutto è nato un legame incredibile con tutto l'ambiente biancoceleste”.
Arriva Reja, e le cose cambiano. Possiamo dire che sulla salvezza della Lazio di quell'anno c'è un forte timbro di Cristian Ledesma?
“Assolutamente sì. E lo dico con grande orgoglio. C'era un grande rischio: quando sono rientrato l'ho fatto senza pensare a quello che era successo, ma solo immaginando ciò che bisognava fare per i tifosi e per la storia di questo club”.
Capitolo 26 maggio...
“Guardando i miei compagni e lo sguardo dei nostri avversari prima di entrare in campo, ho capito che avremmo vinto. Nel nostro spogliatoio ho visto occhi pieni di consapevolezza, di fierezza, di gente che aveva voglia di portare a casa la Coppa. Dall'altra parte non vedevo quello stesso sguardo. Ho avuto subito la sensazione che potevamo farcela”.
Cosa ricorda del post partita?
“Tutto. Da quando sono uscito dallo spogliatoio a quando ho riconsegnato la Coppa il giorno dopo, visto che me l'ero portata a casa(ride, n.d.r.)”.
Ha dormito con la Coppa Italia?
“L'avevo promesso ai miei figli e a mia moglie. Avevo detto loro che avrei portato a casa la Coppa e ho mantenuto la promessa. Ho approfittato del fatto che qualcuno, durante i festeggiamenti, aveva bevuto qualche bicchiere di troppo e sono riuscito a portarmela a casa. L’ho strappata a Maurizio Manzini, sono sceso dal pullman e ho attraversato Corso Francia con la Coppa coperta da un bandierone che i tifosi mi avevano dato a Ponte Milvio. È stato fantastico”.
C'è una gara che vorrebbe rigiocare?
“La sfida con l'Olympiakos in Champions League. Eravamo avanti, se avessimo vinto ci saremmo qualificati e ce la saremmo giocata con il Chelsea”.
Derby a parte, la partita più bella giocata con la Lazio?
“Il Napoli mi portava fortuna: feci un gran gol a Napoli con un tiro da lontano. Ricordo un'altra partita bellissima che poi perdemmo nel finale, quando restammo in dieci, la gara in cui ricordammo Giorgio Chinaglia, e dove feci gol su rigore. E poi l'ultima.....”.
Arrivata al termine di una stagione difficile per lei.
“Giocai poco quell'anno, con Pioli in panchina, ma quel giorno avevo delle belle sensazioni. Mi era capitato tante volte di scaldarmi e non entrare, ma quel giorno fu diverso. Io non sono scaramantico, ma molto cattolico. Indosso sempre una catenina con il Tao, che toglievo prima di scendere in campo. Quel giorno, non so per quale motivo, non la tolsi. Entrai nel momento più difficile, con il Napoli in rimonta e la Lazio in dieci: sono entrato nell'azione che portò all'espulsione di Ghoulam, poi nei gol di Onazi e Klose. Il modo migliore per chiudere un'avventura bellissima. Sapevo che sarebbe stata la mia ultima partita, e fortunatamente sono riuscito a lasciare la Lazio con una vittoria prestigiosa e la qualificazione ai preliminari di Champions. Il modo migliore per chiudere nove anni di amore, dedizione e professionalità!”.
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