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Lazio, Stefano Re Cecconi: “Vorrei gridare al mondo chi era mio padre”

Stefania Palminteri Redattore 
Tutte le dichiarazioni del figlio di Luciano Re Cecconi, centrocampista della Lazio, scomparso tragicamente il 18 gennaio del 1977 a Roma

Quarantasette anni sono tanti, ma a volte sembrano un battito di ciglia. Basta vedere il ricordo ancora così vivo e limpido nelle menti dei tifosi della Lazio di Luciano Re Cecconi. Una scomparsa tragica, quella del gennaio del 1977, avvolta da un alone di mistero. Un padre di famiglia strappato via troppo presto dall'affetto dei suoi cari. Il figlio Stefano si è concesso a un'intervista ai microfoni de La Repubblica, confessando: "Nessuna memoria. Che so, un'immagine, un suono, un profumo, niente. Solo piccole sensazioni, ma forse è solo la voglia di ricordare a farmele provare".

E ancora: "Essere ricordati per quello che non si è mi sembra un'infamia. Era diventato campione partendo dal lavoro nella carrozzeria di Nerviano da dove ogni sera, tirata giù la saracinesca, faceva in bicicletta quindici chilometri ad andare e quindici a tornare per allenarsi con la Pro Patria di Busto Arsizio. Quanti sacrifici... Altro che un calciatore viziato e superficiale. Vorrei gridarlo ai quattro venti chi è stato mio padre davvero, ma poi preferisco tacere".

Perché?

"Quando incontro persone che, sentendo il mio cognome, mi chiedono se sono parente del giocatore, dico che è un'omonimia per non dover parlare solo di come è morto. E anche mamma ogni volta che qualcuno nomina papà, sta sulle spine. Il loro matrimonio è durato poco, erano giovanissimi, ma lei non si è risposata perché ha voluto portare avanti il disegno di vita che aveva immaginato insieme a lui, a me e mia sorella".

Senza ricordi diretti come ha ricostruito la figura di suo padre?

"Mio zio Piero ha riempito un album con ritagli di giornale e fotografie. E poi i racconti dei compagni di squadra della Lazio che ho conosciuto in questi anni, come Martini e Oddi, o i figli di Maestrelli, Wilson, Chinaglia e gli altri. E' come una seconda famiglia allargata. E zio Vincenzo...".

Zio Vincenzo...?

"Sì, Vincenzo D'Amico. Lui e papà erano diventati grandi amici in una stanza d'ospedale per i rispettivi infortuni. Dalla morte di papà fino alla sua, zio è stato sempre vicinissimo alla mia famiglia, il secondo nome del figlio è Luciano".

Papà era amico anche di Gigi Riva...

"Me lo ha raccontato mamma. Legnano, la città di Riva, è vicina a Nerviano e con la Pro Patria è ancora un derby molto sentito. Quando Riva era in clinica a Roma dopo un infortunio, papà lo andava a trovare ogni giorno ed è stato anche a casa nostra. Io non l'ho mai cercato per sapere di papa, ma un giorno, da ragazzo, mentre ero alla fermata dell'autobus a Legnano, me lo sono visto davanti. Per un attimo ho pensato di fermarlo e dirgli chi ero, poi ho preferito limitarmi a un sorriso, lui l'ha ricambiato e mi tengo per me questa straordinaria coincidenza. Spesso non serve parlare, bastano le emozioni".

Che calciatore era Re Cecconi?

"Un centrocampista forte, moderno e generoso. Leale con tutti, specialmente con Maestrelli che lo avevano allenato anche nel Foggia. Papà era così attaccato a lui e alla Lazio che, un giorno, Si precipitò in macchina con il fratello a Milano, nell'hotel del calciomercato, per evitare che il presidente Lenzini lo vendesse al Milan: Buticchi aveva messo sul tavolo un assegno in bianco".

E che uomo era?

"Tra le tante cose che mi hanno raccontato di lui, c'era la grande passione per i bambini: da Lenzini si era fatto promettere che, finita la carriera, avrebbe allenato le giovanili. Nelle immagini del gol storico al Milan, appena segna corre ad abbracciare i raccattapalle. E' un aspetto che aiuta a capire cosa è successo veramente dentro quella maledetta gioielleria".

Cosa intende?

"La bottega era piccola e c'erano due bambini, papà non avrebbe mai messo a rischio la loro vita".

Che idea si è fatto della tragedia e del processo?

"Penso ad un colpo partito inavvertitamente, è successo tutto troppo in fretta. In quegli anni c'era la lobby dei gioiellieri che spingeva per difendere la categoria esposta alle rapine, e credo che sulla scia dell'opinione pubblica si sia preferito chiudere lì la storia. Penso anche che se papà avesse giocato per una squadra del Nord, sarebbe stato più tutelato".

Nella gioielleria c'era il compagno di squadra Pietro Ghedini: ha parlato con lui di quella sera?

"Mi è capitato di incontrarlo nel 2002 alla Pinetina durante un ritiro della Nazionale, quando era il vice di Trappatoni. Gli dissi chi ero, lui mi trattò in modo sfuggente, chiedendomi se volevo i biglietti per la partita. Persino Trappattoni fu più espansivo. L'amico che mi aveva accompagnato, e che non sapeva chi fosse Ghedin, mi chiese cosa avessi fatto di male a quell'uomo".

Lei ha giocato nelle categorie minori, scendendo in campo nello stadio di Nerviano intitolato a Luciano Re Cecconi. E' servito a sentirsi più vicino a papà?

"Un po' si, ma è un altro il momento nel quale sento papà vicino. Ogni domenica vado al cimitero, guardo la sua fotografia e vedo un ragazzo che oggi potrebbe essere mio figlio. Lui è per sempre giovane e io, in quegli attimi, torno a essere il suo bambino".


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