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Siviglia
Poco più di 24 ore alla sfida tra Atalanta e Lazio. Match importante e delicato per i biancocelesti e che allo stesso tempo presenta più di un ex pensando al recente passato. Proprio uno di loro, Sebastiano Siviglia, è stato intervistato da Il Cuoio, presente oggi all’interno del Corriere dello Sport. Di seguito allora le parole dell’attuale allenatore del Potenza che ha ricordato con affetto gli anni in biancoceleste. “Alla Lazio ho vissuto il periodo più lungo è importante della mia carriera. Sono arrivato a Roma a 31 anni e non pensavo di riuscire a fare quello che ho fatto per sei stagioni. Siamo cresciuti insieme, passo dopo passo, abbiamo giocato gare intense, siamo arrivati in Champions League e vinto due trofei. Ho giocato e vinto derby emozionanti. Non potevo scegliere modo migliore per chiudere la mia carriera. È stato un crescendo di emozioni. Un’esperienza unica che non dimenticherò mai”.
Sebastiano Siviglia è uno dei famosi nove acquisti in un giorno del presidente Lotito.
“Siamo arrivati nel silenzio generale. In modo quasi inaspettato. Quando arrivi insieme a otto giocatori, nessuno si accorge di te. Sembra quasi che arrivi in sordina. Ma nulla è stato fatto per caso. Sin dai primi giorni si è iniziato a costruire un percorso che ha permesso alla Lazio di crescere e diventare grandi. In pochi anni siamo passati da una squadra che non aveva neanche 11 giocatori a una formazione che è arrivata in Champions League. È stato un lavoro che ha portato i suoi frutti”.
L’inizio non è stato facile.
“La Lazio veniva da una storia fatta di campioni e vittorie. Quattro anni prima il club aveva vinto uno scudetto. Abbandonare un percorso così prestigioso e importante, buttarlo giù e iniziare da zero non fu facile. Gli acquisti poi non erano in linea con le ambizioni di una squadra che in passato aveva lottato per quegli obiettivi. C’era stato un ridimensionamento. Noi siamo partiti tra tanti dubbi e nello scetticismo più totale, ma siamo cresciuti passo dopo passo. Fino ad arrivare alla squadra di oggi, che è fortissima. Ma la base di questa squadra l’abbiamo creata noi”.
Lei ha vissuto l’inizio di Lotito.
“Si può dire che siamo arrivati insieme: lui a giugno, io ad agosto. Lotito è cambiato. Quello di oggi non è quello del 2004: oggi Lotito ha costruito una squadra dal respiro europeo, che ha fatto un percorso importante, nonostante le tante difficoltà. Quando è arrivato alla Lazio era diverso. Oggi ha una maggiore conoscenza: è cresciuto lui, tutto l’ambiente e ha creato una struttura molto importante. La Lazio è costantemente nelle prime cinque del campionato. E in questa crescita sono stati messi tanti trofei, due dei quali li ho vinti anche io”.
Insieme ai trofei, la sua Lazio ha festeggiato il ritorno in Champions League.
“Forse abbiamo addirittura bruciato le tappe. Il primo anno abbiamo raggiunto la salvezza, la seconda stagione siamo andati in Coppa UEFA, che poi ci venne tolta per Calciopoli, mentre il terzo anno siamo arrivati terzi. Forse nessuno si aspettava una crescita del genere”.
Quella Champions League fu però anche amara per lei.
“Ho passato tre o quattro mesi di calvario. In estate, pochi giorni prima del preliminare, mi infortunati al ginocchio. Mi sono dovuto rioperare dopo due mesi per un nuovo problema al menisco: quando ero sul punto di rientrare, Kolarov mi colpì con una pallonata sulle dita e mi mandò all’ospedale con un dito sfasciato e due fratturati. Dopo un altro mese di terapia, finalmente son riuscito a tornare in campo: insomma, saltai gran parte della fase a gironi. Ho fatto in tempo a rientrare per le ultime gare, compresa quella contro il Real Madrid”.
Cosa vuol dire partire da zero e arrivare a giocare al Santiago Bernabeu?
“Siamo riusciti a regalare ai tifosi quelle emozioni che negli anni precedenti avevano vissuto e che qualcuno pensava di non riuscire a rivivere più. Abbiamo buttato le basi per un percorso di crescita che è stato costante. In pochi anni siamo passati da una squadra che si è salvata all’ultima giornata a una che è arrivata terza, al termine di un percorso straordinario, fino a vincere dei trofei”.
A proposito di vittorie: è più legato alla Coppa Italia del 2009 vinta ai rigori contro la Sampdoria o alla Supercoppa italiana tolta a Mourinho nella stagione del Triplete?
“Due vittorie diverse. La prima frutto di un cammino straordinario. La seconda di carattere, contro una squadra fortissima. Per vincere la Coppa Italia abbiamo fatto un cammino eccezionale. Che molti dimenticano. Siamo andati a vincere in casa del Milan e abbiamo battuto due volte la Juventus, sia all’andata che al ritorno. Poi la finale, giocata in quello stadio, con tutta quella gente. Quella poi fu una partita strana, che valeva tutta la stagione. A Pechino abbiamo giocato contro un’Inter eccezionale. Ci abbiamo messo il cuore e abbiamo portato a casa un grande trovo. Quella vittoria è stata la sublimazione del percorso iniziato qualche anno prima. Siamo stati una squadra laboriosa, che ha lavorato intensamente per far crescere tutto l’ambiente. Siamo riusciti a non abbassare il livello, ottenendo dei risultati prestigiosi come la Lazio del passato che era formata da campioni veri”.
La sua partita più bella?
“Intanto ti dico il gol più bello: quello contro la Fiorentina, di tacco. Una traiettoria incredibile. Era una delle mie ultime partite con la Lazio e ci tenevo a chiudere con una prodezza”.
E la partita?
“Ce ne sono state tante: le due finali, i derby, che vivevo sempre con grande intensità. Ricordo il 3-0, partita che abbiamo dominato dal primo all’ultimo minuto”.
Lo sa che ancora oggi la coppia Siviglia-Cribari viene spesso ricordata dai tifosi?
“Mi fa piacere. Io non sono mai stato un grande giocatore dal punto di vista tecnico. Non avevo la struttura di Stam o la tecnica di Nesta, ma mi battevo come un leone. Per me ogni partita era da vita o morte e spero di averlo fatto capire alla gente. La Lazio è stato un club importante e ho cercato di onorarla fino in fondo”.
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