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Maurizio Sarri
L'allenatore della LazioMaurizio Sarri si è raccontato in esclusiva alla trasmissione La Domenica Sportiva di RSI. Dal suo amore per il calcio, alle sue idee rispetto al sistema attuale. Questa l'intervista integrale al tecnico biancoceleste:
Cosa ama del calcio? "Un innamoramento che ho avuto fin da piccolo. La passione nasce dal fatto che è uno sport di squadra, anche se negli ultimi anni viene dato più risalto all'individualità. Ma io lo considero totalmente uno sport di squadra. È uno sport da organizzare, solo il rugby ha le stesse caratteristiche perché si gioca su un campo con dimensione ampie e tanti giocatori. Razionalizzare il movimento dei calciatori per me è sempre stata una grandissima passione, anche se mi sono divertito anche a giocare".
Sul calcio come sport semplice: "Il calcio è apparentemente semplice ma coordinare 11 giocatori non è semplicissimo".
Sull'importanza delle vittorie: "La vittoria è una cosa importante perché dà vigore alle idee. Ritengo che se siamo capaci di giocare un calcio divertente per gli spettatori è appagante anche dal punto di vista del risultato. Nel breve periodo sono più importanti le prestazioni dei risultati".
Sulla disuguaglianza economica tra le società: "Negli ultimi anni per vincere si deve andare in certe società e certe squadre. I giocatori di livello possono fare la differenza e la stanno facendo. Prima le differenze economiche tra le squadre in Serie A erano di qualche miliardo, ora sono di qualche centinaia di milioni di euro. Questa disuguaglianza economica porta a vincere sempre gli stessi".
Sul calcio come metafora della vita: "I 90 minuti che passi in campo sono una parodia della vita: ci sono momenti esaltanti, momenti difficili, momenti in cui puoi vincere, perdere... come ti succede normalmente nell'arco di una vita. Quindi conoscere storie di vita ti aiuta nel calcio".
Sul rapporto con la lettura: "Cerco il piacere personale. Devo ringraziare gli insegnanti che ho avuto, mi hanno fare dei percorsi diversi a scuola perché mi annioiavo. Mi hanno permesso di leggere molte cose che mi piacevano e questo mi ha fatto appassionare alla lettura. È un momento di svago ma di arricchimento e mi serve anche per il mio lavoro. La facilità di linguaggio aiuta anche nella professione".
Sul bisogno di salvare il calcio: "Il calcio dev'essere salvato da sé stesso e dalle proprie istituzioni. La strada intrapresa non ti permette di proporre la bellezza: se giochi 60 partite l'anno non ci si allena più. E produrre uno spettacolo divertente diventa più difficile. Siamo in una fase in cui questo sport è vissuto come un business e invece è diventato business quando era vissuto come sport".
Sull'abbigliamento: "Bukowski diceva mai fidarsi di chi gira in tuta? Dalle foto che ho visto era messo peggio, ma ho talmente una grande ammirazione per questo autore che gli perdono tutto. Noi facciamo una lavoro da campo, non vedo niente di strano ad andare in campo in tuta, è la cosa più naturale del mondo. Se conta più l'apparenza non è perché è il calcio che è andato in questa direzione ma il mondo. E lo trovo ridicolo".
Sul denaro nel sistema calcistico: "I soldi nel calcio, come nella vita ti aiutano. Poi la felicità è un'altra storia. Le cifre che circolano sono immorali, com'è immorale il mondo attuale. Se un attore prende 30 milioni per un film è immorale ma ci sarà un ritorno economico che li giustifica. Io lo ritengo ingiusto".
Sul lavoro prima del calcio: "I manager che lavorano nel calcio verrebbero licenziati dopo pochi mesi nelle aziende normale. Aver lavorato in un mondo in cui ti devi scannare per aprirti una strada ti aiuta".
Sulle idee di gioco: "Cerco sempre di innescare un modo di giocare che ti porti ad avere la palla molto spesso. Toccare il pallone è il motivo per cui tutti abbiamo iniziato a giocare a calcio. C'ha sempre dato quel senso di divertimento".
Sul suo rapporto con il ciclismo: "Il ciclismo è uno sport vero, duro in cui occorre una grande passione. Lo confermano gli stipendi, molti corrono per passione e io ho grande rispetto. Poi io vengo da una famiglia di ciclisti".
Sulla soddisfazione ed insoddisfazione: "Veniamo da una partita vinta in trasferta per 4-0 (contro la Fiorentina, n.d.r) e sono andato al letto inferocito. Ma è giusto così: se ti dai obbiettivi facili ti accontenti troppo velocemente. L'obiettivo dev'essere impossibile: solo se è un'utopia senti l'obbligo di migliorare tutti i giorni".
Sui tifosi: "La cultura italiana è particolare. In Italia si fa più il tifo contro che a favore, una cosa che in Inghilterra non ho mai visto. Lì si può stare tra le tifoserie tranquillamente anche in trasferta. Qui non siamo messi benissimo".
Sul ruolo dell'allenatore: "L'allenatore è un educatore? Ai nostri livelli è difficile, per le giovanili sono d'accordo. Difficile diventarlo ma c'è una ricerca di far arrivare dei messaggi e dei valori, di cui è fatto lo sport".
Sul momento più bello della sua carriera: "Non c'è un episodio in particolare, spesso si abbina l'evento alla mediaticità piuttosto che all'importanza che ha per te".
Sulle etichette che gli hanno affibbiato: "Io sono uno che cerca sempre di migliorarsi. Dicono che sono integralista ma ho fatto tutti i moduli della mia carriera, non è vero. Sono più un trasformista: cerco di adattare le mie idee alle caratteristiche che ho in base ai giocatori".
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