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Pancaro: “La Lazio è l’amore della mia vita calcistica. L’Europa League…”
Tanti sorrisi, tante foto e soprattutto tanti autografi sulle maglie biancocelesti vintage. Il Panini Tour fa la sua terza tappa a Roma, presso Piazzale 12 ottobre 1492, nel quartiere Ostiense. C'è, come annunciato, Giuseppe Pancaro all'incontro. L'ex terzino della Lazio è stato subito avvicinato da diversi supporter biancocelesti, di grande e piccola età.
Diverse le maglie autografate risalenti al periodo biancoceleste di Pancaro, tanti anche gli scatti concessi con i tifosi presenti e, inutile dirlo, tante le richieste di autografo sulla pagina dedicata alla squadra di Baroni nel nuovo Album Calciatori Panini. L'ex terzino biancoceleste è poi salito sul palco allestito e ha rilasciato alcune dichiarazioni. Queste le sue parole.
“La Lazio è l’amore della mia vita calcistica, senza togliere nulla alle altre. Sapevo che le aspettative erano altissime, ma l’impatto nella partita d’esordio mi diede l’idea di essere in una squadra di campioni assoluti. Era una partita col Napoli, segnammo io e Mancini: due esordienti con quella maglia. La stagione ‘99/‘00? Avevamo la sensazione di essere una squadra forte, che poteva competere su tutti i fronti. Era un ciclo partito qualche anno prima, con l’arrivo di Eriksson.
Ogni anno si aggiungeva un pezzo: c’era la sensazione di avere l’obiettivo di formare una squadra per vincere tutto, società compresa. In quegli anni faceva investimenti molto importante, c’era un progetto che partiva da lontano. Il 14 maggio? Ognuno cercava di gestire la tensione a modo proprio. Chi si è seduto in un angolo e non si è più mosso finché non è finita a Perugia, mentre io, Sinisa e Stankovic siamo stati gli unici tre a vedere la partita. Molti erano in giro per lo stadio.
A fine partita ci fu un abbraccio bellissimo tra noi tre, era il coronamento di un sogno vincere lo scudetto con la Lazio. È stato l’apice, perché stranamente io avevo come desiderio più grande vincere uno scudetto. Riuscirci con la Lazio, che ne aveva vinto solo uno precedentemente con Maestrelli, è stato il coronamento di un sogno. È stata la mia più grande gioia sportiva. Eriksson? Un uomo unico. Il dolore è ancora forte per la sua prematura scomparsa. Una persona che mi ha cambiato la carriera, mi ha voluto bene e mi ha voluto fortemente alla Lazio. Senza di lui forse non avrei avuto la fortuna di giocare e vincere con la Lazio.
Quando la Lazio andò a Cagliari per prendermi la trattativa ebbe dei problemi, tanti si sarebbero stancati ma lui ha voluto a tutti i costi me. Gli sarò per sempre grato per avermi portato alla Lazio. Avevamo un rapporto bellissimo, non era di tante parole. Era anche timido, ma intelligente e sensibile. Rispettava tutti, era impossibile non volergli bene. Penso sia l’artefice dei successi di quella Lazio, in quella piazza si vive di alti e bassi e lui non ci fece mai pesare nulla, neanche nelle difficoltà. Ebbe sempre fiducia in noi ed è il motivo per cui abbiamo vinto tanto.
I compagni in difesa? Sicuramente ricordo che il mio primo anno rimasi impressionato da Nesta. Aveva 20 anni, lo conoscevo poco. Ma Eriksson lo fece capitano, una cosa indovinata tra le tante. Rimasi impressionato dalle sue qualità. Poi inutile quasi parlare di Mihajlovic. Il piede sinistro insieme a Maradona più forte che ci sia mai stato. Faceva cose da fermo e in movimento che altri nemmeno pensavano. Ma anche Negro, Favalli: tutti con grande qualità e molto uniti. Anche chi giocava meno come Couto accettava il suo ruolo e dava sempre il suo contribuito.
Era un gruppo molto professionale, che stava bene insieme e faceva le cose come si doveva. Noi in ogni allenamento, confrontandoci con quei campioni, avevamo test importantissimi. Giocare con tali campioni ti porta a migliorare. La Lazio oggi? La seguo, mio figlio è un tifoso sfegatato. A oggi sta facendo un ottimo campionato, ora ho la sensazione sia un po’ stanca. La speranza è che recuperi le forze per provare a regalare una vittoria ai tifosi, compresi me e mio figlio.
Secondo me in Europa League ha ancora la possibilità di poter vincere. Fosse stato per me non avrei mai lasciato la Lazio, avevo il sogno di finire lì la carriera. Ma l’ultimo anno si stava smantellando la squadra e avevo perso un po’ di stimoli, le mie prestazioni non erano all’altezza e decisero giustamente di cedermi al Milan. Scattò in me una voglia di dimostrare che non ero finito”.
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