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Lazio, Nesta: “Ecco perché ho scelto di allenare. Monza? Occasione della vita”

Alessandro Nesta
Le parole dell'ex difensore biancoceleste pronto a iniziare la sua prima avventura da allenatore nella massima serie sulla panchina del Monza
Edoardo Pettinelli Redattore 

"Non sono arrivato in Serie A per caso. È il primo passo ed è per questo che la vivo come l'occasione della vita" - giura ai microfoni de La Gazzetta dello Sport l'ex LazioAlessandro Nesta, pronto a partire nella sua prima avventura da allenatore in Serie A sulla panchina del Monza.

Cosa cambia dalla B alla A?

«Sento ancora di più la responsabilità dell'impegno. Poi l'approccio umano con i giocatori è simile. Lo sono stato e penso di avere strumenti per avvicinarmi a loro in certi momenti, tirarli su e sostenerli. Ma se rimani un ex calciatore non hai futuro. Devi essere allenatore per costruire giorno dopo giorno. E devi studiare. Poi sono anche fortunato ad avere uno staff molto preparato».

Quando ha scelto che avrebbe fatto l'allenatore?

«Durante gli ultimi due anni in cui giocavo. Il corpo mi mandava segnali chiari e mi sono spaventato.

Quando ho smesso, ho sofferto. Mi mancavano il campo e l'adrenalina. Allora l'unico modo per ricrearmi la competizione era fare l'allenatore. Io ricerco quello, la pressione. L’inattività mi annoia».

Come mai?

«Dopo quello che ho fatto in campo, niente è più replicabile. Quando vivi lassù, abituato a certi livelli, la mente si perde nel momento in cui smetti. Quando provi certe emozioni, per riprovarle devi andare sulla Luna o fare il cantante sul palco».

Quando l'ha chiamata l'a.d. Adriano Galliani?

«Girava la voce, ma non ci credevo... Quando mi ha chiamato ho pensato "Mi sa che è vero allora...". Mi ha detto "Tu sei l'allenatore del Monza" ».

Che rapporto ha con la pressione?

«La ricerco, altrimenti sarei rimasto a vivere a Miami. Il calcio mi ha dato tutto e io ho dato tutto al calcio. Faccio questo mestiere perché mi serve lo stress che la vita normale non mi dà. Mia moglie, che è la numero uno, comprende il mio spirito».

Cosa rende competitiva una squadra?

«Il gruppo, gli uomini che lo compongono. Persone che sanno come uscire dalle situazioni difficili. E qui a Monza c'è una base solida. Il gruppo storico che direziona c'è, è super. Se poi il mercato potrà migliorarci più avanti, va bene, ma sono felice di questo gruppo».

Ha una metodologia sua nello studiare?

«Oltre a seguire gli avversari dell'anno ne scelgo una che propone qualcosa che reputo interessante.

Nella scorsa stagione ho seguito il Bayer. Xabi Alonso ha fatto un calcio di alto livello senza flessioni, disumano. Brava l'Atalanta nella finale di Europa League, li ha tritati».

Difende sempre la sua privacy fuori dal campo...

«Ma perché ho la stessa moglie da sempre (ride, ndr). Non ho mai avuto bisogno dei riflettori. Non vedo la necessità di mostrare il mio privato».

E l'apparizione nel 1998 nel film "Paparazzi"?

«Fu una scelta del mio agente che mi propose di farlo per cercare di stemperare la delusione per aver perso il Mondiale per infortunio. Servì a poco, ero depresso per il ko. Sono stato malissimo».

La sua prima esperienza in panchina a Miami?

«Un disastro, ho disintegrato i giocatori. Non accettavo uno stop sbagliato... Con il tempo ho dovuto uccidere il calciatore che era in me».