Un fulmine a ciel sereno quello che ha squarciato il cielo biancoceleste di tutto il mondo Lazio: Vincenzo D'Amico non c'è più. Vincenzino o il Golden Boy della Lazio scudettata nel '74 ha lasciato un grande vuoto in tutti, indipendentemente dalla fede o dalla maglia tifata. Ai microfoni del Corriere della Sera anche Massimo Maestrelli, figlio di Tommaso, ha voluto ricordarlo raccontato anche un toccante aneddoto legato al Maestro.
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Lazio, Maestrelli ricorda D’Amico: “Ha sfidato la malattia con il sorriso”
"Vincenzo ha sempre tratto me e Maurizio (il più piccolo dei figli di Tommaso) come fratelli. Io avevo 10 anni, lui 19. I primi calci quando entravamo sul campo erano con lui, che prendeva il pallone e ci portava in giro a giocare. Ci faceva vivere un vero sogno. Inutile dire che babbo era innamorato di Vincenzo. Credette tanto in lui, nelle sue potenzialità. Era un talento, un vero cavallo di razza. Uno di quelli che gli allenatori sanno riconoscere al volo. Aveva quell’imprevedibilità e quella spavalderia tipica dei giovani bravi che sanno di essere forti. La prima ca***ta che fece fu quando con il primo stipendio si comprò una Mercedes Pagoda. Mio padre si arrabbiò tantissimo, perché lui uscì dal centro sportivo di Tor di Quinto e andò a sbattere contro un muro spaccando la macchina. Da quel momento gli sequestrò le chiavi dell’auto, poi andò in sede e, senza dir niente a Vincenzo, disse che il suo stipendio avrebbe dovuto prenderlo lui.
Così, quando D’Amico andò a ritirarlo, Gabriella Grassi gli disse che non c’era e che doveva parlarne con il mister. Andò da mio padre per chiedere spiegazioni e si sentì rispondere questo: “Tu mi dici quello che ti serve per vivere e io ti do i soli. Mi devi giustificare ogni spesa”. Ci rimase male e lo stesso suo padre. Non era corretta una cosa del genere. L’anno scorso però sono stato insieme a lui e mi ha detto: “Se il mister non si fosse comportato così avrei buttato tutti i soldi. Se ne ho ancora è perché me li ha gestiti”. Inizialmente lo urtò parecchio, non capiva il motivo e non la viveva bene. Ma a distanza di anni gli ha voluto un bene incredibile.
Ricordo che quando babbo venne a mancare, io e Maurizio fummo mandati alla stazione a prendere lui e la mamma, ma la situazione era drammatica e venimmo portati via. Poi tornammo e il primo abbraccio che ricevemmo dopo quello delle nostre sorelle fu quello di Vincenzo, che ci venne incontro. Chinaglia prese Maurizio e lo portò da una parte, io invece seguii D’Amico in una stanza. Mi guardò negli occhi e non disse nulla su babbo, ma solo che erano stati anni bellissimi.
Mi abbracciò forte, una stretta che sento ancora adesso a distanza di quasi 50 anni. Ho notato che mi fissava. Alla fine della celebrazione l’ho preso da parte e gli ho chiesto il motivo. Mi ha risposto: “Massimo ti devo parlare”. Ha raccontato tutto della malattia, ma in modo spavaldo. Nella mia famiglia ho visto tante persone stare male, ho perso tre fratelli. Conosco bene lo stato d’animo di una persona malata e non ne ho mai vista una così guascona nei confronti della morte. Di solito è una battaglia impari, ma Vincenzo l’ha guardata dritta negli occhi e l’ha sfidata, con il sorriso".
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