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Lotito: “Io tifoso da sempre, presi la Lazio grazie a Berlusconi. Mio figlio…”

Lotito
Le parole del presidente biancoceleste Claudio Lotito ai microfoni di Radio Serie A parlando del passato, presente e futuro della società

Intervenuto ai microfoni di Radio Serie A, il presidente della Lazio Claudio Lotito, ha voluto ripercorrere passato, presente e futuro della società. Dai primi versamenti per l'acquisizione, alla sfida lanciata da Berlusconi fino all'eredità desiderata per il figlio Enrico. Di seguito l'intervento del patron.

"Io ho tre cellulari che sono legati alle varie attività che sono calcio, le varie aziende e la vita privata. I rompiscatole chiamano a tutte le ore del giorno e della notte, ma ormai sono abituato, anche se ricevo minacce di morte e altre cose sgradevoli. Sono 20 anni... A una persona normale incutono timore, io sono abituato. Più fanno così e più io divento una persona che vuole far valere il rispetto delle norme e dell'istituzione. Sono un combattente, quando sono entrato in questo mondo ho trovato certe situazioni assurde reputate normali. Il tifoso poi può criticare, ma a mio parere mai infamare. Questo denota una pochezza della qualità delle persone: noi dobbiamo recuperare la vera cultura sportiva.

Alla scorta ci si abitua. Ti comporta delle limitazioni alla privacy, ma fa parte del mio ruolo, anche a questo ormai mi sono abituato. Mi adatto sempre alle varie situazioni. Come usare un linguaggio diverso rispetto a chi hai davanti per esempio. Bisognerebbe fare prevenzione ed educare i giovani alla legalità, come sto facendo io con la mia squadra. Lo sport ai tempi dei greci era un bene supremo: si fermavano addirittura le guerre durante le Olimpiadi. Questi valori si sono persi nel nostro mondo.

Ma questo è un problema che parte dalla famiglia e passa dalla scuola. Ai miei tempi, le famiglie si rivolgevano con rispetto al maestro, autorizzato anche a bacchettare il proprio figlio. Oggi è tutto al contrario. Tutto questo ha determinato un bagaglio per i miei coetanei. I giovani di oggi non hanno la capacità di relazionarsi a causa dei cellulari, non sanno più emozionarsi. I telefoni sono freddi. I ragazzi di oggi non sanno più dialogare, sono poco empatici. E' tutto un fatto squisitamente asettico che ha determinato la scomparsa del fattore emozionale. Il tifoso di una volta era legato al colore di una maglia, sposava una posizione a vita. Oggi è tutto un apparire e basta.

Io non ho internet né WhatsApp. Ho un telefono vecchio, io non sono tecnologico. Il telefono è solo un mezzo di comunicazione, non può sostituire al rapporto umano. La cultura è una serie di nozioni che uno acquisisce che fanno si che tu sia in una maniera e non in un altro. Io potente? Sono conoscente di persone che mi consentono di avere considerazione in certi ambienti. Io provo grande affetto per queste persone. Penso di essere apprezzato per questo. Ho la capacità di convincere le persone ad approdare a un fatto obiettivo e razionale. Il comportamento di una persona deve essere coerente con il proprio atteggiamento. Le idee che porta avanti devono rispettare l'interesse della collettività".

Innanzitutto, io sono sempre stato tifoso della Lazio, da quando avevo cinque anni. In quel periodo la Lazio non nvigava in acque tranquille. Questo èstato un elemento trainante quando mi fu proposta questa sfida dal presidente Berlusconi, per il quale ho sempre provato affetto e stima. E' stato un genio, dove è intervenuto ha portato risultati. In quel periodo, lui era premier e noi eravamo molto amici. Lui mi chiamò e mi disse che ero l'unico che poteva risolvere i problemi della Laizo. Nel 2004, il club aveva una fotografia contabile spaventosa. Aveva 550 milioni di debiti. Per tutti era considerata una sfida impossibile.

Per me era una sfida al limite, che mi intrigava. Alla fine ho accettato questa sfida. Lui si è interessato alla Lazio per un problema di ordine pubblico, ci furono diverse situazioni pesanti. La tifoseria biancoceleste si faceva sentire con metodi non conformi al vivere civile. Questo mi ha permesso di entrare in un mondo particolare. C'erano persone che perdevano milioni, io daimprenditore ero abituato a circondarmi di persone in grado di produrre reddito.Innanzitutto per me sarebbe stato più facile prenderla dal fallimento, io mi sono caricato di tutti i debiti invece. Anche quello con l'Agenzia delle Entrate. Feci applicare una legge dello stato, che non fu ad hoc fatta per me, ma esisteva dal 2002 e non era mai stata applicata.

Se un'azienda fallisce è meglio prendere quello che si può prendere che non prendere nulla. Chi ha fatto fallire la società ha fatto gravare sullo stato tutto quello che non ha pagato. A me hanno dato una dilazione. La possibilità di pagare il debito in 23 anni. Io ho sempre pagato 6 milioni l'anno circa. Adesso mancano solamente quattro anno. E devo dire che io pago sempre in anticipo. Scade ad aprile e io pago spesso a ottobre-novembre. E' giusto perchè sono soldi della collettività. Nessuno mi ha regalato nulla, c'era una legge dello stato che ho fatto applicare. Quei milioni lo stato li avrebbe persi e invece li ha guadagnati con gli interessi. Quei debiti non li ha accumulati il sottoscritto, nel 2027 conto di chiudere definitivamente questa pratica. Credo di aver fatto un favore alla società.

In questi anni il mondo del calcio è cambiato. Io ho cercato di coniugare una sana gestione economica a quella sportiva. La Lazio ha un patrimonio di diversi milioni, una rosa di diversi milioni. La Lazio, dal punto di vista dei trofei, ha vinto più di tutti. La società dal punto di vista civilistico da riferimento alla mia persona, ma essendo quotata c'è un azionariato diffuso. Io questo ruolo lo esprimo tenendo conto di una cosa. Io coltivo sentimenti e passioni di un'intera comunità: ho l'obbligo di mantenere e preservare questa passione. Quando sono entrato io, ho imposto l'obbligo dei pagamenti di stipendi con un bonifico bancario per tutte le squadre. Incluse imposte e tasse. Senza questi requisiti non ti iscrivi al campionato

Affari è un termine improprio, io dalla Lazio non ho tratto alcun vantaggio. Quando sono subentrato alla guida della società, pagavo il leasing di un fabbricato che oggi è nostro. Per riscattarlo serviva un milione e mezzo. Lo potevo riscattare io, risparmiando diversi milioni. Io dissi no, perché era un bene della Lazio e spettava alla Lazio. Per la Lazio ci ho rimesso molto: 50 miliardi di lire è quello che ho messo nella società quando sono entrato.

Ben 550 milioni di debiti per prendermi la Lazio. Io ci metto tanto sentimento. Faccio calcio puntando sull'aspetto umano e valoriale. Io non utilizzo il metodo della cicala, perché ho visto tante società scomparire a causa di questo metodo di gestione. Io gli investimenti li ho fatti a livello infrastrutturale. Io ho patrimonializzato la società perché voglio tramandarla a mio figlio, che è un laziale appassionato. Oggi Enrico è entrato nel sistema, si occupa del settore giovanile. E' un ragazzo appassionato con tanta voglia. Si è laureato in Giurisprudenza, fra poco diventerà avvocato, anche se non eserciterà. Non dobbiamo legare lo sport all'interesse materiale". 

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