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Attilio Lombardo e Sven Goran Eriksson
“Chi non lo ha ancora conosciuto ha perso la possibilità di incontrare un uomo fantastico, un fuoriclasse come in panchina. Sarà bellissimo vedere Marassi pieno per omaggiarlo e spingere la Samp di oggi verso il suo obiettivo”. Inizia così l’intervista rilasciata da Attilio Lombardo a Repubblica, a pochi giorni dal ritorno di Eriksson a Marassi. I due hanno condiviso insieme anche gli anni alla Lazio e proprio riguardo al rapporto tra tecnico e calciatore e alle esperienze condivise si è espresso l’ex biancoceleste. Queste le sue parole.
Cosa ricorda sull’arrivo a Genova di Eriksson?
“Ero alla Sampdoria dal 1989, avevo avuto Boskov per tre anni. Sapevo sarebbe arrivato un allenatore molto preparato e con esperienze importanti con Benfica, Roma, Fiorentina, ma ebbi modo di apprezzare subito le qualità umane”.
Cosa è cambiato da Boskov ad Eriksson?
“Poco, è stato molto bravo a mantenere gli equilibri consolidati e non era scontato. Non ci fu trauma, perché riuscì a valorizzare il gruppo a disposizione, ricco di qualità importanti sotto ogni punto di vista”.
Che tipo di allenatore era Eriksson?
“Sapeva gestire molto bene la preparazione della gara. Il calcio stava cominciando a cambiare dopo l’arrivo di Sacchi, ma Sven cercava di valorizzare le qualità del singolo giocatore all’interno della sua filosofia di gioco. Al centro c’era sempre il calciatore e le sue qualità”.
Qual era la sua filosofia nella gestione?
“Ha sempre messo il gruppo al primo posto. Era bravissimo a insegnare a giocatori, anche importanti, a mettere prima il “noi” e poi 'l’io'. Non è facile, ma riusciva a conquistare tutti con i suoi modi e la sua competenza”.
Avete vinto l’ultimo trofeo della Sampdoria, la Coppa Italia del 1994. Cosa ricorda?
“È stata una delle serate più belle che abbiamo passato insieme a Genova. Avevamo perso Paolo Mantovani e il mister voleva regalare qualcosa di importante alla famiglia. Lo ricordo veramente molto felice, rideva per la contentezza ed è molto significativo, perché era sempre molto composto, ma in quel caso si lasciò andare. Fu una stagione ottima e Sven ebbe molto merito”.
Tanti allievi di Eriksson hanno poi avuto un ruolo importante anche dopo la fine della carriera da calciatori. È un caso?
“Non credo, sicuramente ha saputo dare qualcosa di importante a tutti, c’era sempre da imparare qualcosa. Era un esempio con la sua calma, il suo modo di essere, mai arrogante, sempre propenso a spendere una buona parola. Ci ha insegnato a pensare sempre in positivo dopo le sconfitte, perché c’era sempre una partita successiva in cui riscattarsi, come nella vita”.
Lo scudetto del 2000 con la Lazio fu un giusto premio per Sven?
“Sicuramente, fu un riscatto dopo la delusione dell’anno prima, con il sorpasso finale del Milan. Eravamo una squadra costruita per vincere ed Eriksson riuscì a gestire elementi con grande personalità, come Simeone, Almeyda, Couto, Nesta, Mancini”.
Come racconterebbe Eriksson come persona e tecnico?
“Chi non l’ha conosciuto, ha, perso, prima di tutto, un uomo fantastico. Come allenatore non dava mai niente per scontato, tutti dovevano guadagnarsi il posto. A livello personale, ricordo quando mi chiamò per tornare in Italia, ero al Crystal Palace. Fu un dispiacere lasciare l’Inghilterra, dove stavo molto bene, ma non potevo dirgli di no”.
Può raccontare un episodio personale?
“La finale di Coppa Italia, vinta, contro l’Inter, a Milano. Ero in panchina. Ero dispiaciuto e mi andai a scaldare nel secondo tempo. Dovevo entrare, ma poi Sven cambiò idea. Mi arrabbiai molto, a fine gara andai subito nello spogliatoio. Nesta mi venne, però, a prendere, Eriksson tolse la fascia di capitano a Sandro e la diede a me e alzai così la coppa”.
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