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Simone Inzaghi
Ventidue anni con gli stessi colori addosso non si cancellano in pochi mesi. Forse, soprattutto in un ambiente come quello romano, non basterebbe nemmeno una vita intera. Roma, vale per entrambe le sponde del Tevere, avvolge in un abbraccio da cui è difficile liberarsi. Il calcio, nella Capitale, è qualcosa più di uno sport, più di una passione. Spesso, per alcuni, diventa una vera e propria ragione di vita. Per questo, tutto viene vissuto come fosse amplificato. E una sconfitta, per quanto brutta possa essere, non è mai solo uno 0 in classifica. Così come i 3 punti sono l’ultimo aspetto preso in considerazione quando si parla di una vittoria. C’è molto di più dietro. Facile capire, allora, come arrivare a vincere un trofeo significhi rimanere nella storia. E vincerne addirittura tredici? L’apoteosi.
È questa l’impresa riuscita a Simone Inzaghi nel corso di questi ventidue anni con il biancoceleste stampato sul cuore. Sette sono stati i trofei vinti da giocatore: uno Scudetto, tre volta la Coppa Italia, due la Supercoppa Italiana e una la Supercoppa UEFA. Sei, invece, quelli vinti da allenatore. Tre - una Supercoppa e due Coppa Italia - con la Primavera; altrettanti invece, e a numeri invertiti, con la prima squadra. Ha macinato record su record e ha riportato la Lazio in Champions League. Ha inseguito uno Scudetto che, fossero andate diversamente le cose, forse alla fine sarebbe arrivato davvero. Impossibile dimenticare il passato.
Per questo, la partita di sabato sarà qualcosa che trascenderà lo sport. Lo spettacolo sportivo non mancherà, ma la carica emotiva dominerà ogni cosa. Toccherà i giocatori biancocelesti, che ritroveranno un padre questa volta avversario. Toccherà i tifosi, che reagiranno con un grande abbraccio e forse qualche fischio isolato, frutto di una ferita ancora non rimarginata. Ma toccherà soprattutto lui, Simone Inzaghi. Che tornerà all’Olimpico con una promessa da rispettare, stretta con la lettera d’addio di pochi mesi fa: “Quando uscirà il calendario, la prima cosa che farò sarà quella di vedere il giorno in cui tornerò all’Olimpico. E ve lo dico già da adesso: verrò sotto la Curva Nord per salutarvi. Non mi interessa se ci saranno fischi o applausi, accetterò qualsiasi cosa. Io ci sarò, sappiatelo”.
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