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Lazio, Ciro Immobile si racconta nel libro “Non è solo fatica, è Amore”

redazionecittaceleste

Nel libro "Non è solo fatica, è Amore", Immobile si racconta a 360° dall'inizio della sua carriera all'importanza della sua fede cattolica

Non solo sport, il calcio è contemporaneamente arte, cultura, amore e passione. Comprendere tutte le facce del calcio non è semplice, unirlo alle emozioni ancora meno. Compito ancor più arduo è forse cogliere dallo sport in generale l'umanità di chi lo pratica. E' questo l'obbiettivo che si sono riproposti Valerio Alessandro Cassetta (giornalista professionista) e Dario Viganò (esperto di Religious Studies) nel libro "Non è solo fatica, è Amore". Un libro che mira a mostrare il lato vero degli sportivi e di rappresentarli non come macchine bensì per quello che sono realmente. Nella prefazione di Papa Francesco si coglie la volontà di raccontare esseri umani che esplorano i limiti della capacità di dedizione, speranza e fiducia intrinseca in ognuno di noi. Tanti gli sportivi intervistati e, tra questi, anche Ciro Immobile che si racconta a 360° dagli albori della sua carriera all'amore per i colori biancocelesti passando per l'importanza della sua fede.

Ciro, il suo feeling con il gol quando è sbocciato?

Quella per il calcio è una passione trasmessa da mio papà (Antonio, ndr), ma anche da tutta la mia famiglia, dai miei zii ai miei nonni, che in passato furono anche proprietari di un club amatoriale della nostra città (Torre Annunziata, ndr). Anche mio padre faceva l’attaccante nelle categorie di Eccellenza e Promozione, e ha sempre fatto tanti gol. Quando ero piccolo mi portava agli allenamenti e se toccavo il pallone qualcuno notava che ero bravino. Tanti suoi compagni gli dicevano: “Tuo figlio diventerà più forte di te”. Ma io ancora oggi gli dico: “Papà, quello più forte sei tu, facevi più gol"

Ha dovuto fare tanti sacrifici per arrivare così in alto?

La giornata era sempre la stessa: scuola al mattino, a pranzo un panino sulla Circumvesuviana e allenamento il pomeriggio. Se ho la sensazione di essermi perso qualcosa della mia infanzia o adolescenza? Quando vivi certi momenti non ci pensi, perché in fondo giochi a calcio, ti sbatti, ma lo fai per realizzare il sogno che hai nel cassetto. Oggi ovviamente rifletto sul fatto che la mia vita è sempre stata impegno e programmazione, ma ammetto di non aver mai pensato: “Oggi salto gli allenamenti e esco con gli amici”. Il dovere per me è sempre venuto prima di tutto.

Il gol è nel DNA della vostra famiglia, ma lei appartiene a quella generazione di calciatori che hanno iniziato a dare i primi calci per strada. Questo aspetto ha un significato particolare per lei?

Sono ricordi belli che porto sempre dentro di me. È stato l’inizio, il principio. Non ci si dimentica mai da dove si è partiti. I miei nonni erano proprietari di una salumeria e lì davanti al negozio c’era una chiesa con una bella piazza. Ci ritrovavamo lì tutti a giocare. Facevamo le porte con le scarpe, le borse e tutto quello che capitava. Altri tempi, ma che tempi!

Torre Annunziata è la sua città. È uno dei posti del cuore?

Mi ha formato come persona. È vero che sono andato via presto, ma essendo una realtà molto piccola conoscevo tutti. Conosco le vicende, la strada che hanno fatto i miei amici e concittadini… È una realtà molto importante per me, perché è stato l’inizio di tutto.

Forse una realtà anche un po’ difficile? Lei ha dichiarato: “Se non avessi fatto il calciatore, chissà cosa avrei fatto…”.

È vero, è così. Non abitavo in una zona bellissima di Torre Annunziata. Vengo da una famiglia molto umile. Mi ricordo che sarebbe potuto succedere di tutto ogni giorno. È una realtà difficile, ma se tu hai la testa giusta e vai avanti per la tua strada, puoi percorrerla senza intoppi.

E soprattutto con una famiglia solida alle spalle e con valori ben saldi come la sua…

La mia famiglia è il fulcro di tutto, mi ha spronato, aiutato e dato una mano a rincorrere i miei sogni. Non finirò mai di ringraziarla. Se non hai una famiglia sana alle spalle con determinati valori, non arrivi a un certo livello.

Nella sua famiglia c’è una figura che le ha consegnato e tramandato la fede cristiana e che le ha

trasmesso la devozione per la Madonna delle Neve.

Esatto… mia nonna materna. La Madonna della Neve è la protettrice della nostra città. Ho un braccialetto che mi lega alla Madonna regalato da mia nonna. Lo porto sempre con me e mi sento al sicuro. Poi da bambino giocavo proprio davanti alla chiesa ed eravamo sempre lì, col parroco che a volte usciva e stava con noi ore ed ore. Mia nonna conosceva tutti e mi ha trasmesso la fede insieme a mia madre. Un po’ come mio padre ha fatto col calcio. Quando arrivai al catechismo, sapevo già abbastanza, avendo una fa￾miglia molto cattolica. A casa sentivo mia nonna pregare, ascoltavo e imparavo.

Oltre al nucleo di origine ora ha messo su una bella famiglia. Ha detto: “Vorrei accompagnare i miei figli a realizzare i loro sogni senza spingerli né abbandonarli”. Cosa vuol dire?

Questo è un po’ il desiderio del mio cuore e anche quello di mia moglie: accompagnare i nostri figli fino ad un certo punto, poi la strada dovranno percorrerla da soli. Noi gli insegneremo i valori, a credere in ciò che fanno e trasmetteremo loro la fede. Non mi va di spingerli o forzarli. Io non sono stato costretto a fare nulla, e vorrei che anche per loro fosse così. Avendo un figlio maschio, sento tante persone dire: “Diventerà sicuramente un calciatore”. Non è detto che sarà così. Mio figlio diventerà quello che desidera.

Lei è un uomo di famiglia. Quando ha incontrato sua moglie le ha detto: “Se avrà dei figli, li avrò con te”. Poi è andata così.

È stato il classico colpo di fulmine. Anche lei (Jessica, ndr) viene da una famiglia simile alla mia. Padre postino, mamma cuoca. Una famiglia che mi è piaciuta da subito. Quando ho conosciuto Jessica, ho fiutato subito che sarebbe potuta diventare la donna della mia vita, quella che avrebbe vissuto per sempre al mio fianco. Per quello le dissi quella frase. Abbiamo gli stessi interessi e

valori, e questo ci aiuta.

È un uomo, un marito e un papà presente. Diciamo che sua moglie e i suoi figli li porta sempre con sé con i tatuaggi dei loro nomi. Il vostro ritratto di famiglia ce l’ha sul cuore con una frase emblematica.

Amo i tatuaggi e tutti quelli che ho rappresenta￾no qualcosa. Ho trovato questa frase: “La famiglia è il luogo dove inizia la vita e l’amore non finisce mai”. Mi piaceva molto e ho deciso di tatuarmela.

È stato in Vaticano diverse volte, ospite anche degli Stati generali della Natalità. E in un’occasione papa Francesco ha benedetto il pancione di sua moglie, che era incinta di Mattia, il terzogenito.

La prima volta in cui ho incontrato il Papa è andata così. Mattia non era ancora nato. La se￾conda volta in cui incontrai il Santo Padre, a Santa Marta, c’era anche Mattia, molto piccolo, che iniziò a correre e camminare lungo quei corridoi enormi. Nel silenzio generale, Mattia urlava senza controllo e marciava spedito in tutte le direzioni possibili. Il Papa lo vide. Noi ci scusammo immediatamente, ma lui ci fermò: “Questa è la casa dei bambini: possono fare tutto ciò che vogliono”. Ci diede la benedizione anche per il quarto figlio. “Mi piacciono le famiglie numerose”, ci confidò.

E dalla benedizione si è passati veramente al quarto figlio?

Nel maggio del 2022 abbiamo comunicato via social di aspettare un altro bambino. È stata una gioia immensa. Un altro dono del Signore. Nel Vangelo di Luca, Gesù invita a perdonare sempre il fratello che pecca contro di noi e che si pente. Puoi svelare un episodio che ti riguarda in cui non hai perdonato subito, in modo spontaneo, ma in cui alla fine è stato meglio perdonare? Credo che il perdono sia la forma più umile

per dimostrare la propria bontà d’animo e poter crescere. Si dice sempre: “Si deve imparare dagli errori”. Ma per imparare sul serio bisogna prima perdonare o essere perdonati. È successo un episodio che ha a che fare con il perdono qualche tempo fa. Un uomo si avvicinò a me e alla mia famiglia in spiaggia, mentre eravamo in vacanza, tentando di avere un approccio violento (Immobile venne minacciato con un coltello, ndr). Alla fine non successe nulla e al processo decisi di non denunciarlo, evitando di fargli passare qualche guaio. Non me la sono sentita di metterlo in difficoltà. E l’ho perdonato.

Un gesto importante da parte sua. Si può perdonare e quindi amare, solo se ci si è sentiti amati?

È come quando dici: “Se non ami te stesso, non puoi amare gli altri”. Queste cose ce le dice nostro Signore. Non le dico io, ma le prendo in

prestito (ride, ndr). Sono la normalità, l’essenza di ogni essere umano.

Moltissimi ragazzi e ragazze, ma anche adulti, la vedono come una star dentro e fuori dal campo. Cosa si sente di dire ai più giovani?

Prima dell’arrivo della pandemia, ogni anno andavo in una scuola calcio in Campania a raccontare la mia esperienza. I ragazzi spesso vengono spinti a fare qualcosa che è più grande di loro. E se sono sotto pressione non riescono a dare il 100%. È questo il limite più grande. Credo che ognuno abbia una strada tracciata. Il mio consiglio è seguirla senza avere distrazioni. E se uno ha un sogno, lo deve seguire fino alla fine, ovviamente aiutato e spronato nei momenti difficili dagli altri. Spingere qualcuno verso un qualcosa che non è la sua strada sarebbe un errore. Chi inizia a praticare questo sport deve soprattutto divertirsi. Questo è il mio consiglio. Poi con un po’ di fortuna, se haila capacità ed è il tuo momento, l’occasione arriva per tutti. 

E per lei è arrivata. In carriera ha girato tanto. Roma adesso è casa sua?

Appena uscito dalla Primavera della Juventus, ho passato degli anni un po’ tormentati da prestiti e comproprietà, con tanti cambi di città e squadre con cui ho fatto esperienza. Nel 2016 sono arrivato alla Lazio, ho trovato un club e un ambiente meraviglioso e ho firmato un contratto praticamente a vita. A Roma sto bene. Mi sento a casa.