Trentatré giorni fa se ne andava Sinisa Mihajlovic e oggi, allo stadio Olimpico, Lazio e Bologna si affronteranno per la prima volta da quel rafia giorno. Due squadre che sono inevitabilmente rimaste legate alla storia di Sinisa e che questa sera lo ricorderanno allo stadio Olimpico. Intanto però il Corriere dello Sport ha intervistato Miro e Dusan, due dei figli di Sinisa Mihajlovic con la moglie Arianna. “Ci aspetta una notte speciale, vivremo le emozioni dell’Olimpico tutto per papà, laziali e bolognesi insieme, ma anche il dolore di non averlo più accanto a noi. Stiamo provando ad abituarci, ma non è facile. Noi amiamo queste due squadre, ma la Lazio per noi ha qualcosa in più, speriamo che a Bologna non si arrabbino perché la città e la sua gente ci resteranno nel cuore per sempre”.
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Lazio, i figli di Mihajlovic: “Cresciuti con i suoi valori, ci manca. Sulla Roma…”
I valori di Sinisa e la forza di Arianna. “Noi figli, maschi e femmine, siamo cresciuti con i valori di un padre fantastico. Lealtà e rispetto, prima di tutto: nel mondo del calcio non sono doti molto comuni, vogliamo riproporre quello che ci ha insegnato e già ci stiamo provando. Può essere anche un modo per ricordarlo in ogni cosa che facciamo. Papà ci diceva sempre (riferendosi alla moglie, ndr) che era l’unica con più palle di lui. Ci sta sostenendo con un coraggio enorme, ora tocca a noi proteggerla perché sappiamo che nasconde il dolore per non intristirci”. Il giorno prima dell’ultimo ricovero, Sinisa progettava il futuro lavorativo. “Era una domenica diversa dalle altre, disse a tutti che era felice e si sentiva molto bene. Chiamò un sacco di amici, forse quasi tutti quelli più legati a lui.
Ma ci colpirono due chiamate: una a Conte e una a Guardiola, papà stava programmando i suoi viaggi di aggiornamento professionale sui campi del City e del Tottenham. Non so se era un modo per farsi coraggio oppure se era, come ci hanno detto, una specie di canto del cigno, fatto sta che ci sembrava davvero il solito leone. Noi avevamo capito da un mese che si era messa male, ovviamente non ne parlavamo né con lui né tra di noi perché coltivavamo sempre la speranza di un miracolo. Una malattia terribile, il primo trapianto era andato bene, il secondo meno perché dopo una settimana i valori erano già diventati anomali. Quella domenica è stata speciale proprio grazie alla sua voglia di lottare ancora. Era lui, spesso, che ci faceva forza.
Siamo arrivati in clinica e abbiamo trovato davanti all’ingresso una carrozzina: papà si ribellò, ma siete matti io cammino da solo, non ho bisogno di aiuto”. Non ha mai mollato del resto, nemmeno quando la malattia e i trattamenti lo avevano debilitato al punto di lasciarlo senza forze. Voleva essere in panchina con il Bologna, come raccontano i figli. “Amava talmente tanto il Bologna, che a Verona si presentò in campo senza forze. Nessuno ci sarebbe riuscito, solo lui. Lo aveva promesso alla squadra, alla società, ai tifosi, a tutti noi: e ci riuscì, ancora non sappiamo come. Ovvio che la città è nel nostro cuore e per sempre ci rimarrà perché papà ha scritto pagine importanti della sua storia personale e della storia del club”.
L’esonero non cancella nulla: “Fu una scelta tecnica, nessuno nel club sapeva che papà sarebbe peggiorato, esattamente come non lo sapevamo noi. Bologna, intesa come città, ha fatto tantissimo per lui, gli ha trasmesso amore e valori, ma anche papà ha contraccambiato con una forza così intensa che non potremo mai pensare di essere stati traditi. Forse, se il club aveva già deciso, avrebbe potuto interrompere il rapporto in estate, prima dell’inizio del campionato. La squadra lo teneva in vita, gli dava la forza di combattere e di andare avanti, per lui era una sfida giornaliera, contro la malattia e per una seconda vita”.
Poi il retroscena sulla Roma, che cercò Sinisa per sostituire Di Francesco, e la risposta di Dusan: “Non puoi andare alla Roma, papà non puoi fare una cosa del genere. Io vado allo stadio, frequento la curva, sono laziale nell’anima: non potrò più uscire di casa se farai questa scelta. Anzi, te lo dico, non esco più di casa e sappi che non potrò mai tifare per la Roma solo perché l’allenerai tu. Io sono della Lazio”. E Sinisa gli rispose come un padre severo: “Meglio così, se non esci eviti di fare le tue solite ca**ate”. Ma alla fine non se ne fece nulla: “Sarebbe andato a Trigoria completamente solo, ebbe la sensazione che in pochi lo avrebbero sostenuto anche se da giovane aveva indossato la maglia giallorossa”.
“Io sono nato dopo lo scudetto del Duemila, ho visto sempre e solo immagini di papà con la maglia biancoceleste. Io mi sono innamorato dei tifosi e, ovviamente, della squadra. Sono cresciuto in curva Nord” racconta Dusan. Tifa sempre Lazio, ma va in altri settori, Miro: “Ho un carattere diverso, io sempre laziale ma in altri settori dell’Olimpico. Adesso allo stadio porto anche Nikolas, che è il più piccolo. I miei idoli sono Klose, di cui quasi porto il nome, e Romagnoli che papà volle a tutti i costi al Milan. Sto per laurearmi, come Virginia, e i prossimi saranno Dusan e Viktoria perché lui desiderava che ci impegnassimo negli studi. Inutile provare a giocare: se sei figlio di un grande calciatore, o hai le palle e il talento di Chiesa o di Maldini che stimo oltre ogni limite, oppure sei destinato a fallire e a essere insultato ovunque. Voglio iscrivermi subito al corso allenatori per realizzare un desiderio che papà non è riuscito a celebrare: alzare un trofeo in panchina”.
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