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Felipe Anderson
Un addio rumoroso, nonostante gli indizi portassero tutti in quella direzione. A fine anno le strade di Felipe Anderson e della Lazio si separeranno per la seconda volta. A differenza dell'estate del 2018, però, Felipe tornerà in patria: c'è infatti già l'accordo, con tanto di comunicato, con il Palmeiras. A spiegare la situazione, ai microfoni di DotSport, è stato interpellato Emilson Cribari, ex difensore biancoceleste. “Quella relativa al suo trasferimento è stata la notizia principale su tutti i giornali. Viene visto come uno degli acquisti più importante degli ultimi anni del Palmeiras. E parliamo di una squadra che sta dominando qua in patria. Il club ha potenziale economico”, spiega l'ex giocatore.
Pensa abbia inciso sulla scelta del giocatore la nostalgia del Brasile?
“Incide la distanza da casa, ma in Italia Felipe è cresciuto e si è realizzato. Quindi secondo me non è una scelta dettata dalla Saudade”.
E come se la spiega?
“Vuole la nazionale, vuole partecipare al Mondiale. Il Palmeiras per attirare l’attenzione dell’attuale commissario tecnico è meglio anche della Juventus, altra squadra che era interessata a Felipe. Secondo me la sua quindi è una scelta ambiziosa”.
Cosa fa lei adesso?
“Gestisco una scuola calcio per bambini/ragazzi dai 4 ai 16 anni. La scuola calcio si chiama C25 Soccer Academy. La “C” è l’iniziale del mio nome, il 25 è il numero di maglia che indossavo alla
Lazio. Siamo molto soddisfatti del lavoro che stiamo svolgendo: ci sono circa 400 ragazzi che si sono affidati a noi. Stiamo attenti non solo al lato tecnico ma anche a quello educativo. In
generale però le nuove generazioni un po’ mi preoccupano”.
Si spieghi…
“Credo che la mia sia stata l’ultima generazione di leoni. Ne parlo spesso anche con qualche mio ex compagno. Oggi non c’è più la stessa passione, la stessa fame. Molti ragazzi giocano pensando ai soldi che potrebbero guadagnare o ai social. Si cerca la visibilità personale, la squadra e l’amore per la professione vengono messi in secondo piano. Io ho giocato con la faccia rotta perché la squadra aveva bisogno di me e amavo la maglia. Ora se piove i ragazzi non si vanno ad allenare. Se si allontanano dai genitori spesso si dimostrano fragili mentalmente e tornano a casa, rinunciando al sogno e alla passione”.
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