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Cragnotti: “Eriksson? Uno psicologo per la Lazio e i giocatori. Piango un amico”

Cragnotti, Zoff ed Eriksson
Intervenuto ai microfoni de Il Messaggero l'ex presidente biancoceleste Sergio Cragnotti ha parlato dopo la scomparsa di Sven-Goran Eriksson
Edoardo Pettinelli Redattore 

Ha fermato l'intero mondo del calcio la scomparsa di Sven-Goran Eriksson. Una notizia che era nell'aria ma per la quale forse nessuno era realmente pronto. Storia della Lazio e di questo sport in generale, scelto da Sergio Cragnotti per portare definitivamente in alto i biancocelesti. Un connubio vincente che ha portato alla Lazio uno scudetto e sei trofei. Proprio l'ex presidente Cragnotti, intervenuto ai microfoni de Il Messaggero, ha parlato di Eriksson e della sua Lazio.

Il più importante tra i trofei vinti?

La Supercoppa Europea, in finale contro il Manchester United di Fergusson e di Stam. Fu il nostro sbarco in campo internazionale da vincenti, un successo di prestigio. E poi, ovviamente, lo scudetto, il secondo della storia”.

Eriksson, per la verità, aveva già un accordo con il Blackburn, in Premier.

Quando lo contattammo espresse subito grande interesse per la mia offerta e per i programmi che gli avevo prospettato. Volevo vincere e lui poteva essere l'uomo giusto. Così riuscì a liberarsi e lo riportammo a Roma”.

Una scelta vincente.

È stato veramente un grande allenatore, perché oltre a lavorare sul campo riusciva ad agire anche come psicologo. Altrimenti chi li avrebbe tenuti a bada tutti quei campioni che avevo comprato?”.

Già, troppi e molti in arrivo dalla Samp.

Sapete che cosa mi disse? Presidente, lei prenda subito Mancini, Mihajlovic e Veron e vedrà che io con la Lazio vinco subito lo scudetto”.

Lei non li acquistò subito.

No, all'inizio solo Mancini, poi ho completato l'opera l'anno successivo. Decisi di cambiare quasi tutta la squadra, volevo modificare le dinamiche dello spogliatoio. Dalla Samp presi anche i fisioterapisti non solo i giocatori. Si creò un gruppo”.

Il famoso clan Mancini.

Roberto e gli altri giocatori sono stati l'anima della Lazio e nessuno meglio di Eriksson poteva interpretarli e gestirli”.

Sven sempre con il sorriso sulle labbra.

Anche nei momenti più difficili, parlo sempre dal punto di vista sportivo, lui riusciva a sdrammatizzare. Era un grande personaggio, un signore di altri tempi. Onesto ed educato”.

Dopo lo scudetto perso nel '99, nel mondo biancoceleste si diffuse lo sconforto.

Non sul volto di Sven, che riusciva a sorridere lo stesso. Come avete visto e sentito nel corso dei suoi saluti, Eriksson è sempre stato lontano dalla negatività. Riusciva a scovare risvolti positivi nelle notizie peggiori”.

Ha resistito anche durante la malattia, in cui ha invitato tutti a sorridere e a vivere bene.

Per questo dico che era un vero psicologo per la Lazio e per i giocatori, non solo un allenatore. A lui dobbiamo tanto”.

Lei, come presidente, non gli perdonò il tradimento inglese.

Decisi di cambiare, perché non avrebbe potuto concentrarsi su due impegni così pesanti. Per lui allenare, come primo straniero, l'Inghilterra era un sogno, quasi un punto di arrivo, e allora lo lasciai andare subito e consegnai la squadra a Zoff. Ma anche in quell'occasione Sven fu limpido e sincero, come in tutta la sua carriera. Piango un amico”.