- Lazio News
- Calciomercato
- Rassegna Stampa
- Serie A News
- Pagelle
- Primo Piano
- Video
- Social
- Redazione
news
Attilio Lombardo e Sven Goran Eriksson
La trasferta in Russia di oggi non è una prima assoluta. Nella stagione 1998/1999 la Lazio affrontò la Lokomotiv nella semifinale di Coppa delleCoppe. A Mosca finì 1-1, ma avanti andarono i biancocelesti che, alla fine, vinsero il trofeo. Tra loro c’era anche Attilio Lombardo, che ha concesso una lunga intervista al Corriere dello Sport. Queste le sue parole. “Andare a giocare in Russia non è mai semplice per le italiane e sul campo della Lokomotiv lo era ancora meno. C’era un ambiente caldo con un atmosfera particolare, però noi eravamo pronti e strutturati per potercela giocare sempre. Boksic? Che giocatore! Per noi era fondamentale, ci dava degli strappi incredibili. Grazie a lui potevamo risolvere le partite più complesse e, infatti, andò così anche in quel match contro la Lokomotiv. Eravamo in svantaggio e stavamo faticando, il suo ingresso fu decisivo”.
“Certi ambienti danno una carica in più, noi eravamo costruiti per far bene sia in campionato che in Europa, ma certe partite - come quella semifinale - ti aiutano a crescere. Ti fanno capire di poter lottare per ogni obiettivo. Stavamo facendo una grande stagione, sapevamo quale fosse la nostra forza. Pareggiammo a Mosca, perdemmo il derby e la gara contro i bianconeri. Però pensavamo di poter ancora vincere lo Scudetto. Forse nel finale subentrò un po’ di paura, perdemmo punti a Firenze. Alla vigilia della sfida contro i rossoneri ricordo Galliani che, con noi avanti di sette punti, disse che avrebbero vinto lo Scudetto se non avessero perso con noi. Noi ci guardammo stupiti, mancavano poche giornate. Però ebbe ragione lui”.
“Quello della stagione successiva fu un campionato altalenante: partimmo forte, andammo in testa, poi i bianconeri ci superarono. Ripassammo noi e ancora loro: a un certo punto sembravano imprendibili. Però alla fine festeggiammo uno Scudetto meritatissimo, così come lo sarebbe stato quello dell’anno precedente. Era la giusta chiusura di un cerchio, ma potevamo vincere ancora di più. Ricordo i quarantacinque minuti ad attendere il fischio finale di Perugia. Fu un’agonia per i tifosi e per noi, ma fu tremendamente bello. Eravamo negli spogliatoi, con la gente ancora sugli spalti ad ascoltare le radioline. Noi forzammo l’accesso in sala stampa per poter assistere alla partita davanti latv. Sono stati più difficili quei minuti che l’intero campionato. Ma ne è valsa la pena. Ricordo il boato dei tifosi, vedere tutta la gente laziale esultare fu bellissimo. Non dimenticherò mai Cragnotti issato in cielo come fosse un dio”.
“Vincere è sempre bello, ma farlo in determinate piazze lo è ancora di più. Vincere in maniera consecutiva abitua alle vittorie, non si fa caso. Vincere in piazze diverse regala emozioni uniche: vincere con Lazio e Samp negli anni in cui c’era lo strapotere di altri club fu una goduria pazzesca. Eriksson fu fondamentale per me. Avevo 33 anni, giocavo in Inghilterra e non pensavo di tornare in Italia. Ma quando lasci un buon ricordo in un allenatore sei avvantaggiato: tornai con l’entusiasmo di un ragazzino. Mi sentivo a casa: c’erano il mister, Mancini, Favalli… ambientarmi fu facile”.
“A me piace fare battute, divertirmi e far divertire. Come quando alla festa Scudetto feci il dj sotto la Nord con il parruccone. O come quando a Natale mi travestii da Babbo Natale con i bambini. Fu bellissimo vederli felici, ma forse lo scherzo più bello fu quando mi finsi un giocatore del Barcellona. Era la finale di un torneo estivo tra noi e i blaugrana. Vincono loro, inizia la premiazione. Ogni giocatore sale sul palco e riceve una medaglia. Mi si avvicina Mihajlovic e mi dice: ‘Non hai le palle di salire con loro’. Non aspettavo altro: andai dal centravanti del Barcellona Kluivert e gli chiesi una tuta. Salii insieme a loro, presi una medaglia e festeggiati con tanto di foto con i miei improvvisati compagni, che stettero al gioco”.
© RIPRODUZIONE RISERVATA