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Pupi Avati
Nuovo appuntamento con Ente Morale sui canali ufficiali del club biancoceleste. Puntata dedicata a Benedetto Croce, ministro che propose di insignire la Lazio del titolo di Ente Morale, e al ruolo sociale del cinema. È intervenuto il celebra regista Pupi Avati.
"Io su Benedetto Corce ne sapevo ben poco, contrariamente ad altri a cui ho dedicato anni di ricerche. È stato un pretesto per addentrarmi in quello che è, attraverso le consulenza di studiosi. Il problema era, davanti all'immensità del pensiero, degli studi di quest'uomo, rendersi conto di trovarsi davanti a un uomo con un umanità vissuta nel modo più fruttuoso. La sua vita è segnata dal dolore, ma lui ci insegna che il dolore si può sublimare a patto di dedicarsi esclusivamente allo studio. Siccome Croce aveva l'uso di festeggiare il Natale con le 5 figlie, ho pensato di raccontare l'ultimo Natale della famiglia Croce, quello del 1951. siamo riusciti a ricostruire addirittura il menù di quel Natale. Credo di aver trovato una chiave affettiva, cosa a cui ho sempre tenuto nei miei film. Croce prese posizioni politiche anche scomode, poi il fascismo sedusse Gentile, suo grande amico, e non lui. Il film il papà di Giovanna? È un film dove si racconta il disagio sociale di una figlia possa far sì che un padre per comunicare con la figlia disabile lo diventi un po' anche lui. Un atteggiamento amorevole che viene spesso a mancare nella nostra società: una società poco empatica. Siamo intrisi e vittime di un provincialismo, di una visione così riduttiva sulle tematiche sociali che dovrebbero posarsi sulla positività delle cose. Per me il singolo rappresenta la società, noi assomigliamo al tempo che viviamo molto più di quanto immaginiamo. Rivedendo i miei film io ritrovo un me che non c'è più. Io avevo la convinzione di essere rimasto esente dalla contaminazione del tempo, invece non è così. L'aria del tempo la si respira, c'è poco da fare, anche se il singolo continua a essere un campo di analisi di studio sufficiente".
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