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Cesar
In vista del match di questa sera tra Lazio e Porto la redazione de Il Cuoio, inserto del Corriere dello Sport, ha intervistato Cesar, protagonista nella semifinale tra biancocelesti e portoghesi nell’era Mancini. Queste le sue parole: “Ogni volta che penso alla doppia semifinale con il Porto in Coppa Uefa, mi viene il rammarico per una grande occasione persa. Mi è capitato di parlarne anche con Roberto Mancini e lui ancora se la prende con noi, perché continua a dirmi che eravamo più forti. Eravamo ad un passo dalla finale, che avremmo meritato di raggiungere, per quanto fatto nel corso di quella stagione. Abbiamo perso 4-1 contro una grande squadra, ma c’è un aspetto che non riesco a digerire”.
Quale?
“Che purtroppo siamo arrivati a quella partita leggermente impreparati. Nel senso che, venti anni fa non c'erano tutte le conoscenze di oggi. Conoscevamo il Porto, ma non ancora benissimo. Oggi hai tutto: report, video, relazioni, siti internet che ti fanno sapere tutte le caratteristiche di ogni calciatore avversario. Nel 2003 le cose non andavano allo stesso modo. Sapevamo qualcosa del Porto, ma certi aspetti erano ancora sconosciuti”.
Cosa vi ha sorpreso?
“La loro organizzazione, l'intensità che mettevano su ogni pallone. Mourinho ancora non si conosceva bene: c'era qualcuno che parlava di questo allenatore portoghese, come di un fenomeno, ma era ancora all'inizio della sua carriera. Quando abbiamo visto il Porto scendere in campo e giocare a memoria, sembrava di avere davanti una squadra che giocava insieme da venti anni. lo resto convinto che la nostra Lazio fosse forte, anzi fortissima, ma alla fine la storia ci ha spiegato chi fosse quel Porto”.
Una squadra plasmata da Mourinho...
“Aveva creato un ambiente effervescente: lo stadio era una bolgia, il tifo fortissimo, tutti in campo correvano. Ci hanno massacrato”.
Eppure la Lazio passò in vantaggio dopo sei minuti con Claudio Lopez....
“Ma noi eravamo forti. Eravamo una squadra organizzata, moderna, che giocava un bel calcio. Ma loro si sono dimostrati più forti. Quel vantaggio, purtroppo è durato poco. Hanno iniziato a spingere e hanno cambiato il risultato. Quel Porto ha vinto lo scudetto, la Coppa Uefa e poi l'anno dopo anche la Champions League. Possiamo dire che il rammarico per noi c'è stato, ma abbiamo comunque perso contro una grande squadra”.
Nel ritorno i tifosi riempirono lo stadio Olimpico, creando un'atmosfera molto calda. Eppure, nonostante gli sforzi non siete riusciti a ribaltare il risultato.
“Partivamo dal 4-1 della gara d'andata. Sapevamo che sarebbe stato difficilissimo. Con il tempo poi si è capita l'organizzazione difensiva che Mourinho sapeva dare alle sue squadre. Segnare alle squadre allenate dal portoghese non è mai facile. Pensare di farne tre e non subirne era oggettivamente complicato. Ma ci abbiamo provato”.
Ci fu un rigore fallito da Claudio Lopez. Forse quell'episodio poteva cambiare la partita?
“Sono portato a dirti che non so se sarebbe stato decisivo. Nel senso che il rigore arrivò a mezz'ora dalla fine e se anche avessimo fatto gol, poi ne avremmo dovuti fare due per ribaltare il risultato. Onestamente non sarebbe stato facile, anche se quel tiro di Claudio Lopez fosse entrato”.
Nei minuti finali lei è salito agli onori della cronaca…
“Sono estato espulso insieme ad Helder Postiga, che poi sarebbe arrivato alla Lazio qualche anno dopo. C'era tanto nervosismo, ero arrabbiato per il risultato e ricordo che ad un certo punto abbiamo discusso per una rimessa laterale.Ci siamo tirati la palla addosso e l'arbitro ci ha espulso entrambi”.
Un rosso che le costò la presenza nel preliminare di Champions League contro il Benfica, ad agosto...
“Vidi la partita dalla tribuna e vincemmo 3-1. Poi io feci gol al ritorno, di testa: l'unico gol che ho fatto grazie al gioco aereo con la maglia della Lazio. Ne ho fatto solo un altro in carriera con l'Inter, su cross di Cruz”.
Tornando all'eliminazione per opera del Porto, quanto le è dispiaciuto non arrivare fino in fondo in quella Coppa Uefa?
“Tanto, anche perchè sono molto legato a quell'edizione della Coppa Uefa. È stato il mio riscatto personale, la mia rivincita”.
Cosa accadde?
“Facciamo un passo indietro: l'anno prima arrivai dal Brasile e faticai ad inserirmi. Giocai poco e fu un'annata sfortunata, prima con mister Zoff, poi con Zaccheroni. In estate arrivò Roberto Mancini, che fu subito molto chiaro con me. Senza troppi giri di parole, mi disse che non mi riteneva utile per il suo gioco. Davanti a me, per il ruolo di esterno sinistro, c'erano Stankovic, Sorin e Manfredini: gli ultimi due arrivati dal mercato. Quindi io, teoricamente, partivo come quarta scelta”.
Poi, cosa è successo?
“Faccio un buon precampionato, ma Mancini continua a non vedermi. Nella prima giornata di campionato, contro il Chievo Verona, vengo spedito in tribuna insieme a Colonnese. La sera vado dal presidente Cragnotti e chiedo la cessione, spiegando che l'allenatore non mi riteneva utile. Ma accadde un episodio: Sorin aveva causato il gol decisivo con il quale il Chievo vinse e stava stentando in campo. Mancini mi diede una chance nella prima gara di Coppa Uefa con lo Skoda Xanthi. Sapevo di giocarmi tutto: quel giorno feci un assist ad Inzaghi e segnai un gol. Da quel momento sono diventato titolare”.
Cosa ricorda di quella Coppa Uefa?
“Una partita giocata con il Wisla Cracovia su un campo assurdo, pieno di neve. Un paio di belle rimonte, proprio contro i polacchi. Insomma, meritammo di arrivare fino in fondo. Eravamo una squadra che giocava un bel calcio”.
Cosa portò Mancini in quella squadra?
“La sua personalità, l'applicazione nel lavoro di tutti i giorni e la sua esperienza. Non come allenatore, visto che era al primo vero anno in panchina, ma come uomo che conosceva perfettamente l'ambiente Lazio e tutte le sue sfaccettature. E poi fu bravo a creare un grande gruppo”.
Nonostante le difficoltà...
“Quell'anno abbiamo raggiunto la semifinale in Coppa Uefa e siamo arrivati quarti, qualificandoci per la Champions League, nonostante non prendessimo lo stipendio da sette mesi. Un bel casino: poi ci fu il piano Baraldi, l'accordo con la società, tante situazioni che ci portarono a vivere sempre sul filo del rasoio. E in quella circostanza Mancini fu molto bravo a gestire tutto”.
Quella Coppa Uefa sarebbe stata la ciliegina sulla torta...
“Sì, ma ti ripeto: all'inizio me la sono presa tanto, ma dopo aver capito contro chi abbiamo perso, ce ne siamo fatti una ragione. Almeno io (ride ndr). Fortunatamente ci siamo presi la rivincita vincendo la Coppa Italia l’anno dopo”.
Contro la Juventus in finale...
“Ricordo il doppio successo con il Milan in semifinale. Abbiamo vinto a San Siro la gara d'andata e poi al ritorno abbiamo fatto quattro gol in un tempo. lo sbloccai il risultato. Quel giorno eravamo imprendibili. Poi nella finale d'andata con la Juve vincemmo 2-0, nonostante un rigore che sbagliai”.
Il suo amico Stefano Fiore le ha dato una mano...
“Vabbè, me lo prese Buffon, mica uno qualunque. Vincemmo 2-0 e poi al ritorno siamo andati a pareggiare a Torino, al vecchio Delle Alpi, 2-2, con gol di Fiore e Corradi. Fu una grande gioia, che in parte ci ripagò di quella semifinale persa con il Porto, Alzammo al cielo la Coppa Italia, anche se sapevamo che quel successo era a tutti gli effetti la fine di un ciclo. Da lì a poco infatti cambiarono molte cose nella Lazio”.
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