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Castroman: “Una Lazio così forte non si vedrà più. Mancini non è mai stato sincero”

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L'ex centrocampista biancoceleste ha parlato nel corso di una lunga intervista in cui non ha voluto perdonare l'ex tecnico Roberto Mancini
Stefania Palminteri Redattore 

Intervenuto ai taccuini de La Gazzetta dello Sport, l'ex centrocampista biancoceleste Lucas Castroman ha parlato della sua esperienza in maglia Lazio, ripercorrendo così alcuni momenti della sua carriera. Nel corso dell'intervista ha poi toccato anche l'argomento relativo a Roberto Mancini, con cui ha avuto un diverbio nell'estate del 2003 quando Mancini allenava la Lazio. Di seguito, le parole di Lucas Castroman.

Lucas, lei sa bene come reinventarsi.

“Ho un diploma da perito industriale. Faccio un po’ di tutto: l’elettricista, l’idraulico, il muratore. In città ho alcuni appartamenti. Quando c’è da ristrutturare aiuto i ragazzi. È il mio antistress”.

Quanto tempo dedica alla santeria?

“Prima di più, ora aiuto i miei quattro fratelli. Quando mio padre si ammalò presi tutto sulle spalle. Glielo dovevo: il giorno del primo gol tra i professionisti con il Velez lui era lì, e pianse”.

Segue sempre il calcio italiano?

“Per alcuni anni mi sono disintossicato, ho visto solo l’Argentina. Ora ho ricominciato. Sono contento per la Lazio: sta andando fortissimo”.

A proposito: i capelli lunghi non ci sono più.

“Via tutto. A vent’anni va bene, a 40 meno”.

Estate 2001, la Lazio di Cragnotti: come arrivò?

“Grazie a Sven Goran Eriksson, ma andò via il giorno prima del mio arrivo. Per fortuna incontrai Zoff: una persona fantastica. Per i primi due mesi Simeone mi ospitò a casa sua. Ricordo Giovanni. Col pallone era un uragano, rompeva tutto”.

Quel gol al derby l’ha resa immortale.

“Se chiudo gli occhi rivedo tutta la scena. Il destro da fuori, l’esultanza, l’abbraccio di una curva, il 2-2 sul tabellone. E il coro tutto mio, sulle note di Macho Man dei Village People. Era il 29 aprile 2001, ricordo anche la festa nel dopo partita, su una terrazza. I tifosi mi fecero vedere un video con tutti i gol del derby, fino al mio. Ho i brividi”.

Miro Klose raccontò che una volta un corriere si inginocchiò di fronte a lui e gli baciò i piedi. A lei è successo qualcosa di simile?

“Una volta un paio di ragazze mi strapparono una ciocca di capelli. Poi i regali: bicchieri, vassoi, piatti, cene offerte al ristorante. A Roma non riuscivo a passeggiare, mi hanno fatto sentire come un re”.

Ora gli aneddoti. Partiamo con Inzaghi.

"Non avrei mai pensato di vederlo a questi livelli. Un giorno entrò nel parcheggio di Formello a cento all’ora e tamponò la Ferrari di Hernan Crespo, che nel frattempo stava uscendo. Quante risate”.

E di Sinisa Mihajlovic cosa ci racconta?

“Mi costò un paio di Cristal di Champagne. Il primo giorno a Formello lo vidi steso a terra con Fernando Couto: si stavano sfidando sugli addominali. Erano a seicento. ‘Se arrivate a mille, vi compro due bottiglie di champagne’, gli dissi. E alla fine ci arrivarono. Simone mi anticipò i soldi”.

Su Jaap Stam, invece?

“Un orsacchiotto. Era alto, grosso e gentilissimo. Io non parlavo inglese, lui non spiccicava una parola di spagnolo. Comunicavano a gesti”.

Il più forte di tutti chi era?

“Veron. Ma una Lazio così forte non si vedrà più. Eravamo il Manchester City di oggi”.

Ha perdonato Roberto Mancini?

“Non è mai stato sincero. Nell’estate 2003 mi escluse dalla squadra, ma prima del turno preliminare di Champions contro il Benfica mi richiamò perché si era accorto di avere diversi infortunati. Quando mi chiese di giocare io gli tirai la maglietta in faccia. Pochi giorni dopo andai a Udine”.

Un gol in 20 partite. Un ricordo di Spalletti?

“In lui rivedevo Marcelo Bielsa, avuto al Velez a 17 anni. Mi presentai con un paio di chili in più: ’Se non torni in forma non giochi’. Mi trasformò in una seconda punta. Secondo lui a centrocampo collezionavo disastri, ma è stato un maestro”.

Le dispiace di aver smesso a soli trent’anni?

“No, ne avevo abbastanza del calcio. I falsi amici, le false promesse, le truffe. Firmavo accordi per farmi pagare in dollari e mi rifilavano i pesos”.

Qual è il suo sogno?

“Diventare allenatore a tempo pieno”.

Nessun rimpianto?

“Nessuno. Ho una bella famiglia, la santeria e due figli che tifano Lazio. I gol più belli che ho fatto”.

Più di quello alla Roma?

“...un pareggio, dai”.