L’Europeo 2032 sarà disputato in Italia e Turchia. Ieri, da Nyon è arrivata l’ufficialità. L’Italia, dopo le edizioni del 1968 e 1980, ospiterà nuovamente questa competizione. In merito a questa novità, e le opportunità che porterà al nostro paese questo evento, il ministro dello Sport per i Giovani Andrea Abodi, ha rilasciato un’intervista a Il Messaggero. A seguire le sue parole.
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Nazionale, il ministro Abodi è sicuro: “È l’ora della svolta, gli stadi…”
Ora c’è l’ufficialità che gli Europei si giocheranno in Turchia e nel nostro Paese. Il suo progetto può prendere vita?
"È un progetto che dovrà avere come presupposto, un metodo di lavoro applicato ovunque. In modo pragmatico, organico, semplificato, per rispettare il valore del tempo, da sviluppare insieme ad altri Ministeri e gli enti del territorio con le istituzioni calcistiche e i club interessati, aperto a incentivi pubblici e alla finanza privata. In questo secolo sono riusciti nell’impresa di realizzare nuovi stadi pochi club, lungimiranti e determinati, insieme ai rispettivi comuni, ma sono molti, ma molti di più quelli che procedono lentamente, restano nell’attesa o sono costretti alla resa. Quindi, vorrei contribuire a migliorare il capitale infrastrutturale sportivo, ben prima del 2032, senza sprecare altre parole".
La sua idea dell’inserimento di un commissario per snellire l’Iter burocratico per la costruzione di nuovi stadi di proprietà ha riscontrato favori quasi all’unanimità. Ma in cosa consisterebbe precisamente la sua proposta?
"Il mio pensiero e tutto il mio impegno sono concentrati sull’obiettivo e, di conseguenza, sugli strumenti che possono facilitarne il raggiungimento. Ho ipotizzato anche la nomina di un commissario, da valutare a livello di Governo, perché mi auguro che l’esperienza abbia insegnato qualcosa, dopo aver scoraggiato società, investitori e amministrazioni locali, ma sono consapevole che uno strumento non basti. Nel portafoglio delle opzioni bisogna saperne inserire più d’una. Il Commissario, un fondo immobiliare ad apporto, la cessione dell’asset da parte dell’ente proprietario, un efficace utilizzo della norma che abbiamo migliorato un mese fa, la indispensabile collaborazione pubblico privato. Purché succeda".
La doppia assegnazione sem- bra però un’occasione persa per la ristrutturazione di alme- no 10 impianti. Non bisognava cogliere con più coraggio que- sta chance?
"La verità è che di stadi ne dobbiamo fare o migliorare ben più di 10, perché è il sistema nel suo complesso che deve evolversi e modernizzarsi. Questa assegnazione congiunta deve essere di stimolo, nei diversi ruoli, per contribuire a fare quel salto di qualità del quale abbiamo bisogno adesso. Per rispondere alle aspettative dei tifosi, alle ambizioni dei club, alle esigenze dei partner e degli investitori c’è bisogno di questo. Il riconoscimento di questa opportunità è necessario per dare un valore, sportivo, sociale ed economico, a quello che comunque ci siamo conquistati”.
Quali sono state le reali problematiche riscontrate per rinunciare a una candidatura unica?
"Non c’erano problemi, ma la co-candidatura ha dato un risultato certo che la scelta di andar da soli non avrebbe assicurato. La Uefa, in ipotesi, avrebbe potuto investire sulla debolezza della nostra condizione infrastrutturale, assegnandoci gli Europei con nove anni di tempo a disposizione, per consentirci di produrre lo sviluppo necessario, ma i rischi sono stati ritenuti dalla Figc maggiori delle opportunità. A questo punto, cogliamo l’attimo e utilizziamo bene il ruolo che ci è stato assegnato, con i suoi significati geopolitici legati anche alla promozione della cooperazione internazionale, utilizzando tutte le leve della diplomazia dello sport. Mai come in questa fase storica ne abbiamo bisogno".
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