Durante la seconda puntata di Ente Morale, andata in scena sui canali ufficiali della Lazio, è intervenuto l’allenatore della Lazio WomenGianluca Grassadonia. Queste le sue parole: “Il leader? Penso che debba avere senso di responsabilità da veicolare al proprio gruppo di lavoro. Serve grande passione, impegno, alimentare ogni giorno quanto prodotto con grande scrupolo e attenzione perché poi bisogna dare risposte a chi ci mette nelle condizioni di lavorare in un certo modo. Bisogna produrre quello che la società si aspetta. Condivido ciò che dice Velasco, che bisogna essere se stessi. Torno al pre gara della sfida con la Juve. Non penso di essere un duro, sono me stesso, nel senso che il tuo interlocutore capisce se mascheri o se dici ciò che non pensi. Per me è essenziale essere se stessi e che la squadra lo riconosca. Bisogna essere meritocratici, leali e corretti con qualsiasi giocatrice, che giochi o meno.
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WOMEN | Lazio, Grassadonia: “Formazione cambiata prima della Juve, ecco perché”
Io ho fatto i tre corsi principali a Coverciano e più volte ho avuto la fortuna di aver ascoltato Velasco. Ti incanti: ha tempi, modi ed esperienza. Ho mandato un WhatsApp a un mio collaboratore oggi alle 12:23 con una frase di Velasco, senza sapere che ne avremmo parlato oggi. Non si parla su un copia-incolla, devi essere autorevole. Stimo in modo sconfinato Velasco, non lo conosco personalmente ma lo seguo. Sono sempre per imparare, perché secondo me non si finisce mai di farlo. Dal 1988 sono nel mondo del calcio, non so se sono bravo o meno. Quello che ho sempre chiesto a me stesso è però di essere leale e far sì che questa dote mi possa essere riconosciuta.
Dietro ogni intervista ci sono pillole di vita. L’essere giusti di cui parla Velasco, per quanto mi riguarda, mi appartiene dal profondo del cuore. Ho giocato tanti anni, con una bella carriera. Ho tre figli, due donne di cui sono innamorato e un maschio. Lui voleva seguire le orme del papà, col passare del tempo ho capito che il calcio non faceva per lui per quanto riguardava giocare a certi livelli. Lui era in una scuola calcio, venne una squadra importante a fare dei provini e il responsabile di questa società aveva giocato con me. Lo conoscevo personalmente e mi chiese se quel ragazzo fosse mio figlio. Io risposi che era un omonimo, mia moglie non mi parlò per lungo tempo ma io volevo che lui fosse valutato per le doti e non perché figlio di. Ed è qualcosa che mi porto dietro anche negli spogliatoi. Non regalo nulla.
Domenica la formazione era già scritta, è successo qualcosa che non è stato un esempio giusto per il gruppo e ho cambiato formazione all’ultimo. Anche rischiando qualcosa, ma mettendo una giocatrice che seppur meno pronta si era comportata moralmente in modo giusto. La partita l’abbiamo persa, ma abbiamo vinto prima di scendere in campo perché la squadra ha capito che tutte sono uguali e chi si comporta bene alla fine gioca. Questo è il mio senso di giustizia. Sergente di ferro? Se non lo sei non puoi poi esserlo sul campo. Bisogna essere se stessi e chi hai di fronte ti apprezza alla fine per quello che sei. L’importante è essere leali e corretti. Meglio una brutta verità che una bella bugia: col tempo chi hai di fronte ti apprezzerà.
Io provo a far passare il messaggio che se fai una cosa devi farla bene avendo rispetto per chi ti mette in condizione di far bene. Serve senso di responsabilità, coscienza. Il mio obiettivo principale è non deludere chi mi ha voluto qua e si aspetta risultati: chiedendo molto a me stesso, chiedo molto agli altri, a tutto il gruppo. Le parole di Goldoni? Fanno piacere, ma io poi scindo sempre: sono un professionista, voglio a tutte un bene dell’anima. Con i giusti comportamenti si crea senso di rispetto, ma loro sanno che mi aspetto tanto, che si può crescere e si deve far meglio. Ma sono tanto affezionato a loro e spero di restare con loro a lungo”.
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