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Di Giovanni Manco
ROMA - Oggi 5 aprile 2020 compie 44 anni mister Simone Inzaghi. L'allenatore piacentino, in 4 anni di Lazio ha già insignito il suo nome nella All Of Fame dell'Olimpo biancoceleste con 3 trofei vinti ed uno scudetto in ballo. La redazione di Cittaceleste tutta augura i migliori auguri di buon compleanno al tecnico!
Se esiste una scienza del calcio, la Lazio di Simone Inzaghi ne sta chiaramente mettendo in crisi le fondamenta. L'ultimo decennio calcistico, in Italia, ha riposto tutte le sue certezze su un chiaro sillogismo: chi spende ha la squadra più forte, e chi ha la squadra più forte vince. E a vincere, non poteva che essere la Juventus. Una pretesa di validità che rimanda a quel concetto di scienza calcistica di cui sopra, che però sta venendo scardinato da Simone Inzaghi e dal suo lavoro al timone della prima squadra della capitale.
2020, L'ANNO IN CUI CAMBIO' TUTTO? - Non sappiamo come finirà questa stagione, e non sappiamo se e come il nuovo calendario organizzato dalla Lega Calcio possa in qualche modo veicolare l'andamento del torneo. Tra chi grida al complotto e chi parla di campionato falsato, occorre constatare la magnificenza rivoluzionaria della Lazio. Il 2020 potrebbe essere ricordato, infatti, come l'anno in cui il calcio è cambiato, l’anno in cui i fallaci fondamenti scientifici sono venuti meno davanti alla realtà fenomenologica delle cose.
FENOMENOLOGIA DELLA LAZIO DI INZAGHI – La Lazio è esattamente ciò che appare, non si rifà a nessuna scienza e a nessun presupposto teorico. La Lazio non è forte perché ha acquistato campioni in estate, la Lazio non è forte perché ha investito miliardi, la Lazio non è forte perché ha in squadra Ronaldo o Lukaku, in panchina Conte o Sarri. La Lazio è forte - ed è ad un solo punto dalla vetta del campionato- semplicemente perché è la squadra che gioca il miglior calcio d’Italia. La fenomenologia della Lazio di Inzaghi parte da lontano ed è passata per una lunga dialettica di tesi ed antitesi confluite in una sintesi di bellezza e romanticismo: l’Olimpico di nuovo pieno; un gioco verticale, moderno, bellissimo; un gruppo compatto formato da gente che si vuole bene; giocatori cresciuti e divenuti maturi – Milinkovic, Immobile, Luis Alberto, Acerbi -, giocatori rinati e rivalorizzati – Leiva, Correa, Caicedo, Cataldi, Patric -, giocatori presi e fatti crescere ad immagine e somiglianza del suo tecnico – Strakosha, Luiz Felipe, Lazzari -. Un lavoro lungo, un percorso fatto luci ed ombre che sta dando dei frutti squisiti. Ma soprattutto un lavoro che è fenomeno, fenomeno inteso come ciò che appare alla realtà sensibile: nessuna scienza, nessuna teoria, nessuna pretesa. Lavoro e crescita. Forse è proprio vero che nel calcio stiamo diventando tutti teorici, tra Sarrismo e Contismo, per fortuna c’è ancora chi si rifà alla realtà effettuale delle cose senza proclami ne pretese.
Non sappiamo come andranno le cose, dicevamo. Ma sicuramente, fin da ora, possiamo dire grazie Lazio e grazie Simone Inzaghi. Perché se eravamo abituati al dominio naturale e scontato di una sola squadra, ora non è più così. In un certo senso, avete salvato il calcio. Ora la palla passa alla storia, giudice ultimo ed insindacabile: un giorno potremo dire se il 2020 è stato l’anno in cui il calcio è cambiato, oppure no.
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